malattia mentale nell'arte
Cultura

La malattia mentale nell’arte e il suo stereotipo: da Ligabue a Chiara Fumai

Tempo di lettura: 3 minuti

Gli artisti sono sempre stati sottoposti a stereotipi che li hanno spesso resi dei reietti sociali.

Quelli che di solito sono considerati pazzi, disagiati, deboli, sono solo un involucro che accoglie l’anticipazione di una visione diversa del mondo. L’artista è infatti strumento della bellezza, intuisce l’innovazione prima degli altri.

Ma a cosa è dovuto tutto ciò? Sarà l’estrema sensibilità,  la sregolatezza o  il disturbo mentale? Come ha influito la malattia nelle opere dei grandi artisti?

Ci sono state persone (famose e non) che hanno fatto dell’arte una valvola di sfogo, una terapia e un posto sicuro nel mondo, regalandoci quelle che oggi chiamiamo “opere d’arte”.

Oggi, dunque vi parliamo di alcuni casi di artisti border(lain), e di come la malattia abbia impattato i loro lavori e il nostro patrimonio artistico. 

I visionari che infrangono le regole

Nel dialogo tra Vittorio Sgarbi e Giulio Giorello ne Il Bene e il Male, si spiega come la “sregolatezza” degli artisti sia una

  ‘’[…] compensazione psicosomatica di un turbamento che si vive per la propria diversità’’.

Se ci si sente diversi, automaticamente si è incapaci di trovare un equilibrio e, quindi, si causa spesso uno scompenso della propria mente. Le nevrosi o addirittura  i traumi, tendono ad isolare il soggetto nei confronti di una società non ancora abituata ad aprire i propri orizzonti.

C’è chi però, geneticamente, è predisposto a soffrire di disturbi mentali che, alimentati dai traumi subiti nel tempo, possono generare i “folli” che tanto denominiamo.

Nel corso della storia infatti, ci sono stati artisti che hanno vissuto parte della loro vita nei manicomi (per esempio Vincent Van Gogh e Antonio Ligabue) soffrendo sia fisicamente che moralmente, ma producendo opere per noi di grande rilievo.

Artisti border(lain): alcuni esempi stilistici

Quando si parla di stile, si intende quel tratto distintivo che consente di riconoscere lo stesso artista o uno stesso periodo artistico, per formazione, ubicazione o movimento. In questo caso, gli stili e la personalità possono mutare in base anche alla regressione dettata dalla malattia.

Ciò è possibile constatarlo, ad esempio, attraverso i dipinti di Edvard Munch, che soffriva di una forte depressione a causa dei gravi problemi famigliari che l’affliggevano. Era ossessionato dalla morte tanto da servirsi di colori cupi e tematiche inquietanti: il suo stile macabro divenne poi caratteristica principale che lo rese celebre.

C’è poi la schizofrenia di Yayoi Kusama, che  fa della sua arte una vera e propria terapia a pois! Infatti i suoi disturbi, le sue allucinazioni e i suoi deliri la riportano a riprodurre ripetuti “pallini” che ne danno carattere decisivo alle opere e alla sua estetica pop. Una vera e propria ossessione senza precedenti.

 

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Chiara Fumai, artista divenuta iconica nel movimento femminista, è morta nel recente 2017. Vittima di una forte depressione, riversava sulle sue performance e installazioni, inquietudine ispirate dalla letteratura esoterica, soprattutto di donne particolarmente ”ribelli”. In quanto artista fortemente Border(lain), incarnava i suoi personaggi, sino a diventare parte di essi, acquisendo le loro molteplici personalità che accompagnava nelle sue esecuzioni e, a volte, anche nella sua quotidianità.

 

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Museo della follia: la via dello smarrimento

Individui sfortunati, umiliati e allucinati dai loro turbamenti, isolati nel loro eterno sogno: ecco che la “diversità” tipica degli artisti Border(lain) ha raccolto giovani, liberi e determinati in un’impresa chiamata Museo della Follia.

Si tratta di un progetto ideato da Vittorio Sgarbi, con sede non fissa, che richiama storie di uomini e donne che hanno fatto dell’arte la loro unica fede e che, attraverso le loro storie, hanno raccontato le mille sfaccettature del dolore nei manicomi. Una raccolta di strumenti, dati, oggetti, che ne fanno monumento da esplorare.

La mostra raccoglie opere dei grandi maestri della storia dell’arte (Goya, Bacon, Inzerillo, Robusti, ecc.); all’interno del museo, La Stanza dei Ricordi raccoglie, oggetti, indumenti,  che seppur di poco rilievo comunicano tanto all’ interlocutore, in particolare dell’ex manicomio abbandonato di Teramo. La Stanza della Griglia, invece, espone tutte le fotografie delle cartelle cliniche dei ricoverati, con i loro visi tristi e/o allucinati e consumati dal tempo; qui, i repertori fotografici di Fabrizio Sclocchini  invitano a riflettere e tante altre chicche che fanno del Museo della Follia un’ istituzione evocativa.

Tanti sono stati gli artisti Border(lain) che hanno lottato costantemente con il proprio malessere e con la propria inadeguatezza nel mondo, ma la loro ipersensibilità, le loro visioni, i deliri e le loro malattie, ci hanno permesso di “guardare” altre problematiche sociali, interiorizzarne gli effetti, aprendoci alla riflessione e, perché no, anche ad un avanzamento scientifico.

Quindi, prima di dire che un artista è pazzo, conta fino a tre e oltrepassa i confini dello stereotipo!

 

a cura di
Antonella Vigorito

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Antonella Vigorito
Vive in una provincia sperduta della Capitanata pugliese ma, praticamente si trova ovunque. Laureata in discipline artistiche, dipinge, scrive, organizza eventi culturali e nel tempo libero legge carte astrali, beve birra, vino e whiskey, polemizzando verso il prossimo. Se manca il caffè in casa, comincia ad andare in crisi!