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Radioactive, la recensione del film sulla straordinaria vita di Marie Curie

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A pochi giorni dall’anniversario della sua morte, avvenuta il 4 luglio 1934, esce sulle piattaforme on demand Radioactive, film basato su un omonimo racconto a fumetti che narra vita e imprese di Marie Curie. Personalità imponente nel mondo della fisica e della chimica, la rinomata scienziata si è guadagnata negli anni anche lo status di icona popolare, grazie alle sue vicende biografiche e alla sua visione del mondo incredibilmente moderna.

La donna dei record

Prima donna a ottenere una cattedra alla Sorbona e a vincere un Premio Nobel in ben due categorie differenti (per la fisica nel 1903, per la chimica nel 1911), nel film diretto da Marjane Satrapi (fummettista e già regista del bellissimo Persepolis) assume il volto di Rosamund Pike, affiancata da Sam Riley nel ruolo di Pierre Curie e da Anya Taylor-Joy in quello di Eve, figlia maggiore della coppia. Nel 1897 l’allora Maria Skłodowska è una giovane laureata in fisica e matematica alla Sorbona, alla ricerca di uno spazio tutto suo dove poter condurre gli esperimenti che renderanno possibile la scoperta del radio e del polonio. Invisa alle eminenze grigie e outsider inarrivabile nel panorama scientifico parigino, viene intercettata dal ricercatore Pierre Curie, che le offre un laboratorio in cambio di un mutuo scambio di pareri professionali. Da questo incontro deriverà una collaborazione estremamente fruttuosa e un matrimonio basato su un’affinità intellettuale senza precedenti.

La difficile sintesi tra emozione e resoconto storico

Radioactive trae spunto proprio da questa forte direttrice biografica, rendendo la componente emozionale di questa storia d’amore il motore trainante di tutta la narrazione. L’intuizione di un rapporto amoroso sostanzialmente simbiotico, inteso quasi come spinta alla fioritura della mente del genio, è di grande interesse: i momenti di intimità, tenerezza e collaborazione tra i due riescono davvero a farci toccare con mano il temperamento insieme duro e affettuoso della scienziata, dove invece più sfilacciato e incoerente risulta il racconto della sue conquiste scientifiche.

Se ben chiaro è infatti il percorso di crescita umana e personale fatto dalla protagonista, la messa in scena delle tappe che l’hanno portata a rivoluzionare il mondo della scienza soffre di una certa approssimazione. Inutili e addirittura didascaliche appaiono dunque le sequenze che, interrompendo la narrazione, proiettano lo spettatore nel futuro per mostrargli gli usi più o meno distruttivi che l’uomo farà di queste eccezionali scoperte; dal laboratorio di Marie si passa dunque a scenari bellici o catastrofici, come quelli di Hiroshima e della bomba atomica, di Chernobyl e della centrale nucleare, dei laboratori per le terapie radio anticancro. Questa sorta di temporalità parallela vorrebbe forse essere uno spunto per ragionare sulle conseguenze morali ed etiche della ricerca scientifica, un dilemma per il quale la stessa Curie, una volta scoperti gli effetti cancerogeni della radioattività, non riuscirà a darsi pace. La seconda parte del film si concentra infatti sulle vicende più oscure e drammatiche vissute dalla donna, mettendo un po’ confusamente il scena lo scandalo per il suo rapporto con il matematico Paul Langevin e gli ultimi anni dedicati alla messa a punto di macchine per radiografie, utilizzate poi da lei stessa e dalla figlia Eve al fronte, durante il primo conflitto mondiale.

Contorni inafferrabili (e un film da recuperare)

Se geniale e commosso era stato il racconto autobiografico fatto con Persepolis – basato peraltro sulle memorie della stessa regista – con il salto nel mondo delle più classiche biografie di personaggi eccelsi Marjane Satrapi compie insomma un mezzo passo falso, dandoci l’impressione di aver perso per strada quel tocco personale che da sempre la distingue nel panorama cinematografico degli ultimi anni. Insieme al suo tocco si sfumano anche i contorni di questa straordinaria figura, che resta ancora oggi, come lo è stato ai suoi tempi, un soggetto decisamente impegnativo col quale confrontarsi.

Insomma, il film definitivo sulla figura di Marie Curie resta ancora da fare, ma nel frattempo gli appassionati potranno cogliere l’occasione per recuperare – o rivedere – quell’antica ma sempre fresca pellicola che è Madame Curie, film del 1943 diretto da Mervyn LeRoy e scritto, oltre che da Paul Osborn, Paul H. Rameau, anche da un insospettabile Aldous Huxley, incredibilmente mai inserito nei credits finali!

Letizia Cilea
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