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Cultura

Cultura in (s)vendita: i musei americani sono alla frutta

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Negli ultimi giorni la decisione presa dall’Association of Art Museum Directors (AAMD) sta facendo molto discutere. L’organizzazione che raggruppa i direttori dei musei d’arte di Stati Uniti, Canada e Messico avrebbe dato il via libera ai musei americani a vendere le loro collezioni permanenti. Obiettivo: liquidità immediata per fronteggiare la crisi finanziaria causata dall’epidemia di covid.

Nel sistema economico americano, dove i musei sono tutti entità private (ad eccezione della National Gallery di Washington), la situazione non è delle più rosee già normalmente. Circa un terzo dei musei negli USA opera in rosso o al limite, facendo affidamento principalmente sulle entrate provenienti dagli eventi organizzati. Nemmeno l’hashtag #CongressSaveCulture e la richiesta di 4 miliardi di stanziamento sembrano aver smosso il governo. E a quanto pare le istituzioni museali saranno davvero costrette a svendere il loro patrimonio per sopravvivere. Segno che forse la Great America sia alla frutta.

Make America Great (Again)

Come ci ricorda un caro politico contemporaneo, Make America Great (Again). Potremmo dire che quest’idea abbia sempre accompagnato i grandi collezionisti americani e le acquisizioni dei musei del Paese.

Diversamente dall’Italia, la legislazione americana ha da sempre previsto la possibilità di vendere parte della propria collezione, al fine di accumulare denaro per acquistare opere più importanti. Ci troviamo di fronte a un’idea profondamente diversa da quella alla quale siamo abituati. In Italia, dove i musei sono perlopiù pubblici e la vendita del proprio patrimonio è aborrita, si punta alla storicità della collezione. Gli Stati Uniti, invece, hanno sempre puntato all’acquisto del pezzo migliore, o di quello meglio conservato.

Esempi recenti sono quelli del Museum of Fine Arts di Boston, che nel 2011 ha ceduto otto opere impressioniste per acquistare un solo Caillebotte. O il museo di Baltimora, che nel 2018 ha venduto tele di Rauschenberg e Warhol per acquistare lavori di artisti fino ad allora esclusi dalla storia dell’arte (donne, artisti di colore).

Trattandosi di una pratica abituale dei musei americani, non si spiegherebbe questo grande sconcerto. Se non fosse che l’azione proposta dalla AAMD, stavolta, prevede la vendita per far fronte ad un buco di liquidità, e non per acquistare nuovi lavori. In poche parole, il patrimonio del museo andrebbe svenduto per salvarne l’involucro.

A che pro?

La decisione presa dall’AAMD in questo momento fa riflettere, soprattutto se pensiamo che molte delle opere riservate al pubblico internazionale potrebbero non essere più fruibili presso i musei americani. Molte domande sorgono spontanee: a che pro salvaguardare l’istituzione se i più grandi capolavori – che magari caratterizzano l’istituzione da anni – non sono più visibili dai visitatori? A che pro salvaguardare tre piani, di cui uno sarà probabilmente e completamente vuoto?

“Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, educazione e diletto.
Definizione di museo secondo l’ICOM

Se pensiamo alla definizione di museo dell’ICOM (International Council of Museum), la scelta dei direttori dei musei americani sembra più estrema e disperata che mai. Cultura storica e mentale diversa non bastano a giustificare il dilapidare della memoria storica – e per di più, di recente costruzione – degli Stati Uniti d’America dove, ancora una volta, è il soldone a fare da padrone.

Repubblica, democrazia rappresentativa e federalismo: questi i tre pilastri del sistema politico della superpotenza. Possibile che lo Stato non riesca – o meglio, non abbia interesse – a salvaguardare questa situazione? Possibile che la grande democrazia americana si sia definitivamente rivelata per quello che è, una democrazia “per ricchi”?

Nonostante la Great America sia palesemente alla frutta, nonostante stiano venendo a galla tutti i malfunzionamenti di un sistema economico visto sempre come l’oasi della perfezione, speriamo che il patrimonio museale del Paese possa davvero essere messo in salvo. Non solo fisicamente, ma anche a livello identitario.

Sara Maietta
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Sara Maietta
Una vita ascrivibile all'ABCD: aspirante curatrice, bookalcoholic, catalizzatore di dissenso e dadaista senza speranze.