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Editoriali

Imen Jane: ci vuole una laurea per (non) fidarsi della propria generazione

Tempo di lettura: 4 minuti

Fino all’altro giorno, Imen Jane aveva tutto: il lavoro della sua passione, un’influenza instagrammabile da più di 300mila follower, una vissuta agenda politica di tutto rispetto e, addirittura, la nomina su Forbes nella categoria Talenti Under 30.

Cosa mancava all’appello? Per alcuni nulla, ma a quanto pare uno scandalo. E non mi sto riferendo certo a un uomo, ma a un pezzettino di carta che legittimasse il tutto, definisse un quadro perfetto, rendesse il personaggio ancora più sapiente e in carriera di quello che sprizzava dai social. La laurea.

Il fatto (inventato)

Diciamoci la verità. Potere e popolarità fanno diventare molto golosi e forse è per questo che una mezza verità (studio economia) si è tramutata in un’enorme bugia (insegno economia senza essermi laureata). O forse una bolla creata ad hoc per darsi un tono è diventata un vestito, anzi un tailleur, così comodo ed elegante che neanche il posto finestrino in prima classe non avrebbe più potuto reggerlo a dovere. D’altronde quante interviste durante la (non) carriera…

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Diverse negative opinioni sono circolate sul web negli ultimi giorni e la gogna social non si è fatta attendere. Di certo non hanno aiutato le “scuse non scuse” con una diretta, oramai sparita dal suo Instagram, la cui traduzione potrebbe benissimo essere “so di aver sbagliato, ma alla fine neanche tanto visto le incredibili esperienze che ho vissuto”.

Non ci sono dubbi sul fatto che ogni scelta (o non scelta) di vita definisca un percorso unico e personale. Come è sicuro che soprattutto il percorso universitario sia in primis il primo passo di una strada in salita. C’è solo l’imbarazzo della scelta tra chi si laurea in tempo o non arriva proprio al traguardo, tra chi ci prova ma poi ci ripensa o chi non capisce se è uno studente-lavoratore o un lavoratore-studente.

Ed è per questo che, con queste righe, non ci sentiamo di giudicare o puntare l’ennesimo dito contro Imen Jane. Una ragazza che ha utilizzato i social con giudizio e in maniera intelligente, la cui passione l’ha portata a viaggiare e a fare esperienze che non tutti hanno la fortuna di vivere. E legittimano ancor di più il fatto che non sarebbe servita ulteriormente la laurea per “giustificare” la bravura e lo sbatto sviluppati in questi anni (anche se cominciava a darsi un po’ di arie, bisogna ammetterlo).

Non è bastato, però, tutto ciò per evitare una figura di merda così evidente. Appunto, ci chiediamo come ha fatto una ragazza così ben piazzata mentalmente a caderci sopra e sporcarsi tutta. La lezione sarà tosta da sopportare, l’esposizione mediatica renderà tutto più complicato e non vorremmo certo trovarci al suo posto. Né nei panni di Will_Ita, i cui finanziatori non saranno stati molto contenti della notizia. Una balla sui social significa giocarsi il futuro, ma forse non tutti la pensano così.

Tuttavia, crediamo che sia opportuno contestualizzare.

In che contesto viviamo?

Imen Jane è solo la punta di un iceberg che la nostra generazione si trova a fronteggiare da quando ha imparato a camminare. Una generazione che non fa in tempo a tirarsi in piedi che subito è investita dall’ennesima crisi. Siamo al passo coi tempi, ma in realtà li rincorriamo da quanto sono veloci. Viviamo al limite tra i vecchi che non sanno usare l’iphone e i così giovani che non hanno vissuto neanche le videocassette.

Viviamo un mondo in cui, purtroppo, una laurea fa primavera e definisce cosa fai ancora prima del tuo “Piacere, sono”. Un mondo veloce, sempre più informatizzato in cui ti fanno credere che se non fai il master allora sei tagliato fuori. Perché sono sempre meno i lavori a cui si accede senza un titolo di studio elevato e la forbice tra lavoro “alto” e lavoro “sporco” rende sempre più marcato il divario fra i futuri ricchi e i futuri poveri.

È questo il contesto che noi, come Imen Jane, dobbiamo costantemente affrontare e in cui siamo costretti continuamente a vivere. Sarà per questo che le professioni hanno cambiato nome, se non addirittura lingua. Non esiste più il mero commesso, ma lo shop assistant. Il venditore bruco si è trasformato in un consulente farfalla. I project manager, ormai, sono anche gli ultimi stronzi con buona pace di chi lo è davvero.

E mentre la concorrenza a chi ha il nome più altisonante diventa una guerra tra poveri, Linkedin accoglie il campo di battaglia. Ed è qui che termina il climax. L’immagine in giacca e cravatta supera addirittura i titoli, questi poveretti, ordinati in fila come soldatini sul proprio profilo. Qui si premia l’inglese che ti da quel tono in più, la finta assertività, il numero di collegamenti, i commenti per rendersi visibili agli altri profili e, dunque, ottenere qualche conoscenza in più.

Prendiamo coscienza di noi stessi

A volte, scrollando la home (in realtà non solo di Linkedin ma dei social tutti), viene un po’ lo scoramento.

Si srotolano i rotoloni Regina di dubbi sulle proprie scelte, i sensi di colpa inesistenti fino ad allora ti ammazzano, cominci a mettere in discussione l’intero percorso di vita e dell’universo tutto. A partire dall’asilo fino a quel momento. Quello in cui hai scoperto che la tua ex-compagna di classe stupida, a cui manco avresti dato un euro da investire, fa la Project Luxury Manager in Corso Como a Milano per un brand di cui non ti potresti permettere neanche di piangere i soldi che non hai. Ma così. Per dire.

Riamane da pensare che non esistono scelte giuste o sbagliate perché ognuno è figlio del proprio tempo e della propria testa. Una cosa però c’è da dire. Che è davvero difficile oggi rimanere lucidi in un mondo di storie, persone e personaggi preimpostati. Difficile rimanere se stessi e proteggerei i propri sogni e obbiettivi di una vita in un mondo e tempo in continuo cambiamento.

Infine, nonostante tutto (che non è poco), c’è un’altra cosa ancora più difficile da fare, ovvero non dimenticare le proprie origini e da dove si è partiti. Perché è il modo migliore per dimenticare se stessi ed evitare di paragonarsi a chi ha davvero fatto la Storia.

Perché se Jobs, Zuckerberg, Disney e Bezos hanno iniziato tutti l’avventura in un garage, allora anche Imen Jane poteva benissimo comunicare l’economia sui social senza laurea. Ma soprattutto senza tirarsela.

Carlotta Cuppini

 

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Carlotta Cuppini
Fondatrice di Borderlain, le piace organizzare persone e progetti con sorridente serietà. Based un po' in MIlan un po' Bologna, beve caffè amaro al mattino e vino rosso la sera. Colleziona edizioni di 'JF è uscito dal gruppo' che tiene sul comodino insieme a manuali di project management.