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La sentenza Bosman, 25 anni dopo: come il calcio cambiò per sempre

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Il 15 dicembre 1995 il calcio cambiò per sempre. Eppure è una data che alla maggior parte dei calciofili di “ultima generazione” potrà dire poco. Probabilmente nemmeno lo stesso Jean-Marc Bosman, del resto, avrebbe mai lontanamente immaginato che il suo nome sarebbe rimasto per sempre legato ad una rivoluzione epocale della storia di uno sport che onorava modestamente, senza picchi di eccellenza.

Riavvolgiamo il nastro. Siamo nel 1995, l’Ajax ha da poco vinto la Champions League, George Weah il Pallone d’Oro. Jean-Marc Bosman è un modesto centrocampista belga che milita in patria, nell’RFC Liegi, nonostante il suo contratto fosse scaduto da ben 5 anni. Trovato un accordo con la compagine francese del Dunkerque, Bosman era ormai intenzionato a trasferirsi nel Paese della quiche. All’epoca, però, vigeva una sorta di patto non scritto, una pratica corrente tra le società: la squadra che avrebbe acquisito il giocatore era solita versare al club che avrebbe perso il giocatore una contropartita in denaro, una sorta di gentlemen clause, anche se il contratto era scaduto da tempo.

Il Liegi, tuttavia, non gradì la proposta economica del Dunkerque e Bosman rimase “bloccato” in Belgio. Emarginato dalla squadra e messo fuori rosa, al belga viene in mente di rivolgersi alla Corte di giustizia dell’Unione Europea. Quest’ultima riconsiderò tutto il sistema di trasferimenti dell’epoca, che venne giudicato ormai inadeguato, dando ragione a Bosman: il 15 dicembre, dunque, venne approvata una nuova norma che avrebbe stravolto per sempre i destini del calcio, portandolo bruscamente verso la postmodernità. La sentenza, che in seguito sarebbe stata ribattezzata proprio con il cognome del calciatore, decretava la possibilità per i calciatori, alla scadenza del contratto, di trasferirsi liberamente e gratuitamente ad un altro club facente parte di uno stato dell’UE. Venne inoltre aggiunta, per i giocatori, la possibilità di firmare un precontratto con una nuova società se il contratto con quella di appartenenza non avesse una durata superiore ai sei mesi.

Un calcio globale

Le conseguenze della sentenza Bosman ebbero un impatto enorme sul calcio europeo. La più immediata fu l’impossibilità di continuare a porre un tetto al numero di stranieri presenti in ogni squadra: il limite di 3, precedentemente imposto dall’UEFA, venne abolito. Non è stato infrequente, negli ultimi vent’anni, assistere a formazioni dell’Arsenal senza un solo britannico, o all’Inter schierata senza un singolo italiano. Nella stagione 2014/15, il numero di stranieri presenti nel campionato italiano di Serie A aveva toccato la cifra record di 301 su 553. Una tendenza che ha innescato un’inevitabile controindicazione, in realtà più in movimenti frenetici come quello nostrano che a livello europeo: la trascuratezza verso i vivai. Prelevare giocatori da Paesi dell’UE in cui i costi di acquisto e stipendio sono più bassi richiede un minore sforzo economico rispetto allo sviluppo delle strutture giovanili, fattore che ha portato ad un abbassamento qualitativo a lungo termine nel nostro movimento calcistico (una tendenza accentuata soprattutto nelle serie minori).

La sentenza Bosman ha segnato, soprattutto, un rovesciamento di potere nel rapporto tra società e calciatori. Questi ultimi, infatti, possono guardare alla scadenza del loro contratto come un’opportunità per un approdo desiderato verso altri lidi. Tra i giocatori ad essersi avvalsi dello svincolo gratuito per approdare a parametro zero in altri club figurano cognomi eccellenti. Come Pirlo, passato dal Milan alla Juventus nel 2011. Oppure Lewandowski, via dal Borussia per trasferirsi agli storici rivali del Bayern nel 2013. O ancora Ballack, a zero dallo stesso Bayern al Chelsea nel 2006. Recentissimo anche De Vrij (2018), dalla Lazio all’Inter. Fiutare un parametro zero permette alle società di scatenare aste milionarie per un singolo giocatore.

E Bosman?

Se Bosman sognava una ridistribuzione equa delle ricchezze, dovrà aver cambiato idea una volta notato che, in realtà, la maggior parte dei vantaggi economici generati dalla sentenza hanno riguardato concretamente soltanto i nomi più celebri. La trasformazione del calcio in uno show business globale ha portato i calciatori a cambi di priorità: i soldi portati dai diritti TV e dalle competizioni di grido esercitano un’influenza enorme, al giorno d’oggi, al momento di scegliere un club. Purtroppo, a livello personale, le cose per Bosman non sono andate per il meglio dopo la sentenza. Il mondo del calcio, da sempre piuttosto “conservatore”, lo ha ben presto relegato nell’oblio inquadrandolo come personaggio scomodo, alla stregua di un sovversivo. Anche con questo, probabilmente, si spiegano la disoccupazione e i problemi di alcolismo e depressione (culminati nell’arresto nel 2012 per violenza domestica) che hanno colpito negli anni a seguire l’uomo che nel 1995 ha sconvolto il calcio, e la sua vita, per sempre. Difficile e forse inutile stabilire se in meglio o in peggio: ogni rivoluzione, del resto, è specchio dei tempi.

Mattia Passariello

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