Voglio esserci - una preghiera laica
Racconti Brevi

Voglio esserci – una preghiera laica

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Un giorno ho visto la scuola trasformarsi in chiesa,
i banchi in bare,
gli insegnanti in preti,
le lezioni in litanie.

E l’appello era un necrologio infinito,
la campanella le campane,
la ricreazione la messa è finita, andate in pace.

E nessuno mi diceva quanto fossi stato bravo
a coniugare i verbi,
perché nessuno mi guardava negli occhi
– chiusi –
ma tutti piangevano
le mie mani
– conserte –
il mio pallore
colpevole -.

 

Un giorno ho aperto gli occhi e ho visto tutto questo.
Era solo un sogno ad occhi chiusi
figlio di quelli ad occhi aperti.

E mi sono chiesto
se non sbagliassi a vivere
dall’altro lato del sogno,
quello sicuro.

Se non meritassi la bara
e le mani conserte
e il pallore colpevole.

Se meritassi davvero di essere salvato.

 

Un giorno ho aperto gli occhi e ho iniziato a immaginare tutto questo.
Non ho capito subito cosa stesse accadendo.

È iniziato col sonno.

Dormivo tantissimo, e non dormivo mai solo.

Accanto a me, come un’amante
il mostro che un tempo stava sotto al letto
ora ci dormiva sopra.

E ogni notte, con abbracci
di velluto
il suo peso mi schiacciava
lo stomaco,
mi bloccava il
respiro.

Non ho più avuto riposo che fosse ristoro,
nelle notti insonni pregavo che finisse,
che finissi.
Che morire sotto alle coperte,
dopotutto,
era un po’ come morire
mano nella mano.

 

Al risveglio le cose fanno meno paura.
La luce mi calma, il calore mi culla.

Il letto è solo un letto,
la stanchezza un riflesso.

Quel mostro è clemente e al mattino mi lascia in pace.
E la vita scorre tranquilla e noiosa.

 

Ma la notte arriva ogni notte.
E stanotte ho deciso di pregare.

 

Dio che nulla crei né distruggi,
e che giochi con la vita
perché giocare ti diverte,
fa’ che io sia uno svago
usa e getta.

Perché morire senza morire,
è la condanna di chi
non vuole arrendersi,
ma si arrende.

Dio che t’impossessi del mio letto,
e abusi dei miei sogni più sereni,
conosco il tuo nome:
e il tuo nome è Depressione.

Mi hai concesso sogni
e me li hai chiusi in un cassetto,
e ora che mi hai aperto gli occhi
ho capito che quel cassetto, Dio
sono io.

Dio che non chiedi né concedi
liberami del dolore
o liberami per sempre.

Dio, non voglio morire né giocare
e la notte voglio dormire,
non lottare.

Perché in fondo so che questo
non è il fondo.

Perché in questa vita voglio esserci.
Ma non ci sono.

 

Giuseppe De Filippis

 

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Giuseppe De Filippis
Studente di scienze politiche, vive a Napoli. L’attualità è l’amorevole moglie che lo fa sentire al sicuro, la letteratura la sua amante capricciosa. Inesorabilmente devoto alla poesia e all’orrido non necessariamente in quest’ordine. Ha un dattiloscritto nel cassetto. Ha da poco capito che il cassetto è se stesso.