perché la morte rende eterne leggende
Editoriali

Kobe Bryant, James Dean e altri miti: perché la morte rende eterne leggende?

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Non si è mai abbastanza pronti a una prematura dipartita, specialmente se negli ultimi vent’anni le uniche partite sono state quelle dei Los Angeles Lakers. La scomparsa di Kobe Bryant è solo l’ultimo punto segnato dal destino nel basket della vita, il cui fischio di fine è sempre molto difficile da digerire per tutti coloro che sognano e sperano grazie ai propri idoli. Sportivi, attori, cantanti, politici. Ognuno ha avuto i suoi miti che non avrebbe mai mollato per nulla al mondo ma che, invece, a volte la morte ha reso per sempre eterne leggende.

Da persona comune alla nascita del mito

Francis Scott Fitzgerald, Lady Diana, John Lennon: persone comuni che durante l’esistenza si sono fatte un nome (il loro), la cui risonanza produce brividi o lacrime di commozione ancora ai giorni nostri. Persone qualsiasi nate in un’epoca quasi predestinata, soggetti a eventi ben definiti, la cui vita più o meno difficile li ha accompagnati, formati e realizzati in ciò che oggi il mondo riconosce e sempre conoscerà. Un libro, un matrimonio reale, una canzone. Qualcosa ha reso la normalità straordinaria e sopraelevato la realtà del personaggio a un immaginario collettivo ereditato di generazione in generazione.

Ma queste congiunzioni astrali non sono sufficienti. Non basta, infatti, fare qualcosa di importante per essere immortalato: bisogna esserlo e far sì che quel modo di essere diventi uno stile di vita riprodotto da milioni di persone. Il modo di fare e di parlare (a volte anche pensare), gli ideali e le cause ultime a cui il personaggio in questione si è dedicato nel tempo sviluppano il vero e proprio mito.

Il mito è “l’idealizzazione di un evento o personaggio storico che assume, nella coscienza delle persone, carattere e proporzione quasi leggendari, esercitando un forte potere di attrazione sulla fantasia e sul sentimento di un popolo o di un’età”.

Perché la morte rende i miti eterne leggende

Ma la consacrazione suprema a mito rimarrà in tutto e per tutto il momento della morte. Perché fermando il tempo e l’esistenza la morte congela tutto ciò che concerne il mito, legittimandolo e rendendolo vero per sempre. Nel tempo e nelle generazioni, nelle mode e nelle tempistiche, nel passato e nel futuro. È davvero il sonno eterno l’ultimo tassello di una vita senza precedenti, che però nel momento esatto in cui il cuore smette di battere rende provvisorio anche quello che non è mai stato considerato tale. Il proprio idolo, infatti, non morirà mai, è impossibile: lui è un dio. Soprattutto quando l’età del prescelto non è affatto prossima alla fine. Se poi la causa è stato un mix di droga e alcool o un incidente, la leggenda è servita su un piatto d’argento.

Non solo Kobe Bryant: leggende al confine tra fine 1900 e inizio anni 2000

Ayrton Senna, Bruce Lee, Marco Pantani: gare inimitabili per il loro modo di farti sognare, per la loro passione, perseveranza e forza di volontà silenziose e contagiose.

Pier Mario Morosini, Vigor Bovolenta, Davide Astori: il loro ricordo non ha mai lasciato davvero il campo da gioco, come anche la paura per le morti cardiache improvvise nei giovani talenti.

Amy Winehouse, Elvis Presley, Tupac, Kurt Cobain: chi non ha ballato, saltato, urlato o solo melancolicamente canticchiato le loro melodie anche dopo decenni dalla loro tragica scomparsa?

James Dean, John Belushi, Marilyn Monroe: i loro film come pietre miliari nella storia del cinema americano, che se non hai visto almeno una volta non capirai mai le battute delle serie tv postume, tanto hanno segnato un’epoca.

Lady Diana, John Fitzgerald Kennedy: l’eleganza dei modi, il portamento, l’essere politici ma anche fatti di carne, li ha prima definiti inarrivabili, poi miti venerabili.

E ancora: Fausto Coppi, Chester Bennington, Jimi hendrix, Paul Walker, Jim Morrison, Notorius BIG, Alexandre McQueen… Potrà il cielo contenerli tutti insieme?

E per ultimo: Kobe Bryant. La morte non ha fatto altro che confermare quello che sei stato e sarai sempre. Lo afferma la tua fama che, come pochi altri nell’Nba, è riuscita a toccare anche chi non ha mai masticato la lingua del basket. Adesso potrai giocare senza limiti nei canestri nel cielo insieme alla tua Gianna. Questo è solo un arrivederci alla prossima (de)partita.

 

Carlotta Cuppini

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Carlotta Cuppini
Fondatrice di Borderlain, le piace organizzare persone e progetti con sorridente serietà. Based un po' in MIlan un po' Bologna, beve caffè amaro al mattino e vino rosso la sera. Colleziona edizioni di 'JF è uscito dal gruppo' che tiene sul comodino insieme a manuali di project management.