Frida
Cultura

Frida è morta. E voi l’avete uccisa, voi e la commercializzazione

Tempo di lettura: 6 minuti

Frida Kahlo è un’artista amatissima, a ragion veduta. Sono davvero poche le persone che non conoscono le sue opere, e non conoscere il suo volto oggi è pressoché impossibile. Di fatti ci sarebbe da chiedersi se l’enorme successo di quest’artista sia dovuto più al suo aspetto che ai suoi lavori, tra i più belli e significativi della storia dell’arte contemporanea.

Si sa, il marketing non si fa scappare nulla: in un’epoca in cui vige l’obbligo emozionale, portare alla ribalta figure o simboli storici da “poppizzare”, diventa il modo migliore per promuovere messaggi che dialoghino con ciò che pensa il pubblico. E soprattutto, che siano ciò che vuole il pubblico: il fatto, poi, che si scelgano dei personaggi il più delle volte tormentati per sfamare una fetta di popolazione il cui tormento è la ricerca della presa della corrente per ricaricare il proprio smartphone, fa già ridere così.

Perché Frida Kahlo, prima di piacere agli artisti, piace al mainstream. Piace alle influencer, perché è colorata e alla moda; affascina le femministe radicali, perché è stata attivista politica e perché non si depilava (e sì, certe cose, purtroppo, si sentono davvero). Piace a tutti, perché ha sofferto – e la gente si nutre della sofferenza altrui, ha bisogno di compatire e mostrare il proprio compatimento come un trofeo vinto ad un concorso di migliore persona dell’anno.

E piace al mercato, perché quello di Frida è il connubio perfetto per un’icona mitica e pop che frutta miliardi.

Nel turbinio di pagine Instagram e di gadget dedicati al girl power, fermiamoci un attimo a ragionare sull’immagine di Frida Kahlo. Chi è Frida Kahlo? Cosa rappresenta realmente nel campo artistico-storico messicano e mondiale? Ma soprattutto, dove inizia la sua immagine di pittrice e dove finisce quella di marchio commerciale?

Non solo pittrice

Attivista, ribelle, donna dal destino infausto: Frida è stata tutto questo, e non si può quindi prescindere dal suo percorso di vita per comprendere le sue opere. Nonostante sia conosciuta ai più, cerchiamo di fare il punto della situazione sulla sua vita.

Frida Kahlo nasce a Coyoacán il 6 luglio 1907, anche se amerà dire di essere nata nel 1910, perché si sentirà per tutta la vita figlia della rivoluzione messicana. Da piccola soffre di poliomielite, che le lascerà problemi a una gamba; questi si accentueranno quando subirà un violento incidente in autobus e resterà infilzata da un palo che la costringerà per anni a letto col busto ingessato. Questa complessa situazione la spinge a trovare nell’arte e nei libri sul movimento comunista – che imperversava in Messico all’epoca – l’unica forma di apertura verso una vita che non poteva vivere: Frida inizierà a dipingere le uniche cose che può osservare, ovvero sé stessa in uno specchio e la sua sofferenza.

Frida

Fatta dell’arte la sua ragion d’essere, per contribuire finanziariamente alla sua famiglia, un giorno decide di sottoporre i suoi dipinti a Diego Rivera, illustre pittore dell’epoca, per avere una sua critica. Non c’è bisogno di proseguire sulla storia con Rivera, poiché sappiamo tutti che è stato il grande amore di Frida, anche se sofferto e costellato da tradimenti (e non solo da parte di Diego).

Si potrebbe dire che il dolore plasmò forse l’immagine e la relazione di Frida, rendendola una vittima degli eventi. Per questo è facile amare Frida Kahlo, perché tutti, e soprattutto tutte, si riconoscono in questo dolore. Un dolore che è stato celebrato a pieno dalla storia della sua vita, dai suoi autoritratti in lacrime di donna sofferente, che lotta per amore, per il suo paese e per i suoi ideali. Un’artista talentuosa osannata da Kandinskij, Breton – che le appose l’etichetta di “surrealista naturale”, dandole un’aura da selvaggia che in Europa affascinò e vendette moltissimo – e Picasso, ma che ha dovuto morire per avere un riconoscimento.

Che tipo di riconoscimento? Verità scomode

La verità, forse scomoda, è che il riconoscimento attribuitole oggi le ha fatto perdere l’autenticità, le sue problematicità e controversie, nonché il suo talento – in favore di una costante vittimizzazione che andrebbe però letta in chiave critica, spesso in contrasto con ciò di cui è simbolo. Il marketing ha banalizzato la vita e l’opera di un’artista tanto complessa e contraddittoria, conferendole un’immagine soprattutto di donna femminista, senza però svelarne le sfumature.

Prendiamo la relazione con Diego Rivera: sfatiamo il mito del romanticismo sofferto che tanto piace. Quella tra Diego e Frida era una relaziona malsana, una dipendenza disturbata dalla quale Frida non riusciva e non voleva liberarsi; anche perché la dolce vittima Frida di amanti ne ha avuti (Trotsky è stato solo uno di questi), e la casa in cui viveva con Rivera era stata progettata sotto forma di Harem. Insomma, tanti particolari che in una relazione sana o così sofferta non dovrebbero esistere, e che alcuni movimenti femministi dovrebbero imparare a mettere in luce, puntualizzando sulla forza di questa donna decisamente in altri modi (si prega non sul monociglio).

Inoltre, Frida Kahlo sapeva perfettamente come curare il proprio “personaggio”. Novità delle novità, Frida non era del tutto inconsapevole. Tutt’altro che sprovveduta, sapeva come capitalizzare gli elementi della sua vita privata e del proprio patrimonio culturale. Era irrequieta, e l’unico modo per soddisfare la vita a cui era costretta era dedicarsi a se stessa dando voce a un dolore che da suo diventava comune, come quello della sua gente.

Frida, come tanti altri artisti “maledetti”, guadagnava con le sue opere ed ebbe successo. In una fotografia del 1939 scattata durante l’apertura della sua prima mostra a Parigi, la si vede posare di fronte a Lo que el agua me dio, la sua opera forse più famosa, indossando un abito tradizionale Tehuana e con il monociglio sottolineato dall’eyeliner nero. Frida che rappresenta Frida: non è chiaro quale delle due sia l’opera d’arte, perché la sua forza e volontà di riscatto stanno proprio nel voler essere ovunque e in qualsiasi rappresentazione. Frida come artista, ma anche come donna, esorcizzava la sua intera vita attraverso l’arte e l’autenticità; ma era consapevole, e meno vittima di quanto si voglia pensare.

Frida è morta!

Nel corso degli anni, la valanga commerciale ha banalizzato il lavoro e la stessa persona di Frida Kahlo per adattarsi ad una superficiale idolatria. Se la critica è stata in grado di contrastare i punti di vista che l’hanno designata come artista ingenua, infantile, quasi involontaria, la maggior parte delle narrazioni ha continuato a posizionarla come pittrice marginale. Con le borse Frida, i portachiavi Frida, le T-shirt Frida e anche la nuova Barbie Frida, l’artista è stata sottoposta a controllo globale e sfruttamento commerciale. È stata scelta da curatori, storici, artisti, attori, attivisti, consolati messicani, musei e addirittura da Madonna, che ne ha fatto salire una sosia sul palco (qualcuno è pregato di rivelarne il senso).

Oggi se passeggiamo per le strade di Trastevere, a Roma, la troviamo in un bel murales con la pettorina di Superman. Nel sud del Messico, invece, cucina e serve pollo in una bancarella del mercato della città, attraendo folle di turisti. La modella Scarlett Costello ha deciso di lasciare incolte sopracciglia e ascelle in suo onore. Una sensualissima Salma Hayek, invece, la interpreta nel film Frida (2002) di Julie Taymor, sessualizzandola non poco. E in Italia, uno dei progetti editoriali più riusciti e dedicati alle donne si ispira proprio al suo nome.

Quando acquistiamo una maglietta con il volto di Frida, chiediamoci perché lo facciamo. Ma quando smetteremo di renderla portavoce di tutto ciò che non le è mai interessato, e sposteremo l’attenzione sulla sua arte leggendo in chiave critica la sua persona, sarà troppo tardi. Perché l’utilizzo spropositato della sua immagine non può che far venire la nausea anche al più fervido e sincero seguace. Perché Frida è morta, e voi l’avete uccisa – come direbbe Nietzsche -, voi e la commercializzazione.

Sara Maietta
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2 Comments

  1. Perfavore.. ancora con i tentativi di limitare la fruibilità al pubblico di esempi importanti, con quale scopo poi… Volersi ritagliare un ruolo di essere in pochi a capire il vero senso di una vita come la sua ?
    Nessuno lo sa, forse nemmeno lei lo ha realizzato, e probabilmente non glie ne fregava neanche niente. Ha vissuto, spero, interpretando quello che per lei era il senso della sua esistenza.

    Che ci sia una superficialità sottile nell’acquistare una maglietta con Marilyn, Madonna, Frida, etc.. è normale, non tutti hanno la volontà di esaminare profondamente il perché indossino una certa maglietta. Ma fare di questo uno strumento con cui impedire che queste vite straordinarie non siano conosciute dal maggior numero di persone possibile, è questo stesso un segno di profonda superficialità e ignoranza.

    1. Ciao Marco, grazie per aver commentato. Ovviamente non si tratta di limitare la fruizione: tutt’altro. Si tratta di permettere una fruizione consapevole, e quindi ampliarla con cognizione di causa. Il problema non sta nella maglietta di Frida Kahlo, la borsa o il portachiavi, ma in quanto ciò che Frida Kahlo nel commercio va a rappresentare, che stroppia e non rende giustizia, e quindi non è una verità. Il marketing purtroppo non sempre aiuta a conoscere la vera storia, ma quella che si vuole far conoscere, con il rischio di idealizzare ciò che non andrebbe idealizzato e sottoponendo l’opera stessa a una lettura decisamente errata. Ed è ciò che si specifica ripetutamente nell’articolo.
      Ovviamente Frida Kahlo è solo uno tra i tanti esempi che si potrebbero annoverare.

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Sara Maietta
Una vita ascrivibile all'ABCD: aspirante curatrice, bookalcoholic, catalizzatore di dissenso e dadaista senza speranze.