Banksy street art
Cultura

Perché Banksy ha ucciso la street art

Tempo di lettura: 5 minuti

Da Girl with a Balloon a Flower Thrower, Banksy è il supereroe della street art: colpisce all’improvviso, sempre al fianco dei più deboli e contro l’establishment.

Dal suo primo graffito The Mild Mild West a Bristol, sua città d’origine, ha risvegliato un’attenzione di massa per l’arte di strada facendo venire a galla appassionati ed esperti che osannano stencils di una semplicità disarmante. L’artista, infatti, opererebbe una critica con immagini tanto essenziali quanto d’effetto ma, aprendosi al mainstream, alcune domande sorgono spontanee.

Cos’è la street art?

La street art è un’espressione artistica che prende forma negli spazi pubblici e, il più delle volte, attraverso atti illegali. Le origini di questo “atto naturale” si possono far risalire agli anni ’70 nella città di New York, riconducendolo a due motivi: una contestazione sociale, politica e di privatizzazione degli spazi (siamo pochi anni dopo le rivolte degli anni ’60) e una ribellione ai vincoli espositivi di gallerie e musei, che negli anni ’70 erano al culmine del loro potere e mettevano in difficoltà numerosi artisti emergenti.

Nonostante la forte influenza della Pop Art, l’arte urbana si evolve sviluppando tematiche più profonde e riferimenti artistici rivisitati (primitivismo e lotta di genere in Keith Haring, brutalismo in Basquiat). Ça va sans dire, l’interesse pubblico degli ultimi venti anni per la street art però si deve proprio a Banksy.

Girl with a Balloon

Tra i suoi lavori più importanti c’è La ragazza col palloncino, comparso per la prima volta a Londra nel 2002. Al di là della sua celebrità, è da questo graffito che si può tentare di guardare ad un’altra faccia di Banksy e della sua street art.

Non si tratta di una critica della semplicità del modo di fare, né tantomeno di giudicare cosa sia bello o no, cosa sia arte oppure no, con la presunzione che tante volte si è incontrata nella critica d’arte. Si tratta, piuttosto, di aprire gli occhi e guardare al fenomeno Banksy – perché, al di là di tutto, non si tratta che di un grosso fenomeno mediatico – da un punto di vista che molti sembrano non cogliere: quello del populismo capitalista da cui il noto street artist ha cercato di divincolarsi ma in cui sembra essere rovinosamente crollato (e in cui sta benissimo, c’è da dire).

Il caso Sotheby’s

Il 5 ottobre 2018 durante un’asta da Sotheby’s, il colosso inglese del mercato dell’arte, si batte una tela autografa di Girl with a Balloon. Nel momento in cui viene accettato il prezzo di vendita (86 mila sterline), la tela inizia a scivolare giù dalla cornice frantumandosi in tante striscioline. Lo stupore iniziale si trasforma in pochi minuti in ammirazione per il tiro geniale dell’artista; tant’è che, di lì a poco, tutti i giornali del mondo iniziano a scrivere del celebre dipinto che ha iniziato ad autodistruggersi sotto gli occhi increduli dei presenti, invocando una geniale provocazione dell’artista “che da sempre si oppone alla commercializzazione selvaggia della sua arte“.

Se ci fermassimo un attimo a leggere tra le righe, già questo basterebbe a trovare una prima contraddittorietà. Girl with a Balloon nasce come graffito, ma Banksy lo ricrea su tela. Può uno street artist ricreare un lavoro nato per lo spazio pubblico su una tela? Certo, ma il rischio di sgretolare il senso stesso del graffito è inevitabile. I quotidiani aggiungono poi un altro particolare: come dichiarato dalla casa d’aste l’opera era stata acquistata direttamente dall’artista nel 2006. Banksy avrebbe praticamente venduto un suo lavoro destinato allo spazio aperto, ci avrebbe guadagnato su e l’avrebbe distrutto pubblicamente facendo salire la sua fama alle stelle.

Anticapitalista… per davvero?!

Essere anticapitalista vuol dire conoscere il sistema che si sta contrastando. Lo sapeva bene Piero Manzoni con la sua Merda d’artista, ed è difficile dire se Banksy sia all’altezza di questa consapevolezza. È chiaro che lo spettacolino inscenato da Sotheby’s non fa altro che aumentare il valore dell’opera stessa, facendo aumentare in maniera esponenziale un prezzo di per sé già esorbitante – un prezzo, ricordiamo, affisso ad un lavoro che nasce pubblico e che è stato riprodotto esclusivamente per il mercato.

In questo evento tutto parla di incoerenza, quasi di falsità. Vendere all’asta un lavoro concepito per lo spazio pubblico. Guadagnare dal capitalismo con una critica al capitalismo. Le opzioni sono due: o Banksy non spicca per intelligenza (poco probabile), o vi spicca così tanto da aver capito che invece di contrastare il sistema ci può sguazzare dentro, guadagnarci in termini sia economici che di fama ma continuare a professarvisi contro perché ormai, all’apice del suo successo, le masse gridano al genio qualunque cosa faccia.

L’artista invisibile

La scelta dell’anonimato in campo artistico non è una novità. Ne ha usufruito anche un altro noto street artist, Jorit (anonimo almeno fino al suo arresto in Palestina, in cui si è visto costretto a dover rilasciare le sue generalità). E non dimentichiamo Liberato, altro artista amato dalla cultura popolare che fa dell’anonimato il suo punto di forza.

Quella dell’anonimato è una scelta rispettabile in quanto permette di evitare etichette e far parlare solo quello che si produce. Lo diventa un po’ meno quando si compare all’improvviso, si pretende di fare critica politica e non ci si mette la faccia. Non tanto per il gesto in sé, quanto per il fatto che poi si approfitti ugualmente degli strumenti della società che si critica per farsi pubblicità.

Prendersi solo il buono della fama, cosa che l’anonimato permette, non rende né anticapitalisti, né controcorrente. Chi va controcorrente si assume le proprie responsabilità e anche i suoi lati negativi, mettendo sé stesso in gioco. Non a caso lo street artist Jorit è stato arrestato per uno dei suoi graffiti, meno provocante di tanti altri più celebri di Banksy.

Goodbye street art

Questi sono solo alcuni spunti per poter riflettere e guardare a Banksy sotto una luce diversa, con lo sguardo critico che bisognerebbe sfruttare sempre nei giudizi di merito. Motivo per cui prima di parlare di lui come re dell’arte di strada bisognerebbe rivedere il concetto e la forza stessa che si racchiude in questa forma di espressione, che poco ha a che fare con alcune tristissime operazioni dell’anonimo di Bristol, dove vengono a mancare radici di contestazioni in favore di show per il grande pubblico.

C’è da aggiungere però che l’arte è di tutti e ogni arte ha il proprio pubblico. Ma questa è davvero arte quando culmina nell’incoerenza?

Checché se ne dica, la vera capacità di Banksy sta nel far parlare continuamente di sé, in positivo o in negativo. Ma sfatiamo un po’ quest’aurea da santo: Robin Hood rubava ai ricchi per dare ai poveri, Banksy fino ad ora ha rubato ai ricchi per dare a se stesso.

Sara Maietta
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Sara Maietta
Una vita ascrivibile all'ABCD: aspirante curatrice, bookalcoholic, catalizzatore di dissenso e dadaista senza speranze.