Cultura

Predator Ubiquity: riscrivere la fragilità attraverso la fotografia (e TikTok)

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Quante sono le iniziative artistiche nate sul web nell’ultimo anno? Ormai non si contano più. E se nella maggior parte dei casi ci si è ridotti ad una comunicazione stantìa e fine a sé stessa, Predator Ubiquity di Caterina Notte dimostra di essere all’altezza del rapporto tra arte, fotografia, performance e social media, tutto da rielaborare alla luce del contesto storico che stiamo vivendo.

Predator Ubiquity è un progetto performativo, aperto a tutti, che ha luogo su TikTok. Si tratta di un’appendice – o un cerchio che si chiude – del progetto fotografico Predator. Scopriamo insieme di cosa si tratta.

L’artista

Caterina Notte è una fotografa italiana che vive e lavora tra il nostro Paese e la Germania, a Monaco di Baviera. I suoi progetti fotografici, vincitori di numerosi e prestigiosi premi sia in Italia che all’estero, hanno come focus principale la figura della donna. Un tema ormai abusato nella fotografia contemporanea: eppure, la vera forza di Caterina sta nella ricerca ingaggiata sul corpo femminile, che diventa sia l’oggetto d’analisi, sia strumento di dialogo con lo spettatore e di indagine della realtà.

La carriera fotografica di Caterina Notte inizia nel 2000 quando, da studentessa di Economia a Roma, inizia a rapportarsi con i primi computer e l’immagine digitale. Il suo primo progetto, Genetics, nasce infatti da scannerizzazioni del proprio corpo riassemblate digitalmente. Attraverso le diverse possibilità di riassemblamento, l’artista si è resa conto di avere a che fare con un’infinita serie di suoi possibili doppi.

A partire da questa riscrittura del proprio corpo e della propria figura, Caterina Notte è approdata alla fotografia di indagine. Ogni suo scatto non si focalizza solo sul soggetto, ma diventa un mezzo per indagare la realtà, in particolare quella che interferisce nel momento dello scatto e che può prestarsi ad infinite mutazioni.

In questo modo, gli scatti di Caterina Notte diventano fotografia sociale, che indaga la realtà attraverso una rappresentazione della fragilità, della debolezza e della sessualità: caratteristiche, queste, da sempre comuni alla figura femminile. L’artista esalta la bellezza nella quotidianità della donna, dimostrando quanto le imperfezioni possano essere bellezza, le fragilità possano sostituire la patinatura da modella di Vogue e la debolezza possa diventare forza sessuale.

Ma la fotografia di Caterina Notte è anche performativa: l’artista, nel momento dello scatto, si libera dagli schemi della preparazione, per immortalare ciò che accade in quel preciso istante. Il risultato non è solo un frame “preparato”, bensì un frame preparato attraversato dalla crepa del reale.

Credits: Caterina Notte

Predator 

Predator è un progetto che racchiude tutte le principali linee di ricerca dell’artista. Ideato nel 2010 e ripreso nel 2019, è forse la serie fotografica che più colpisce per la sua capacità di forza espressiva.

Le donne fotografate, di diverse età, sono ricoperte da bende. A primo impatto, le bende fanno pensare al dolore e alla debolezza, a scenari di guerra piuttosto infelici: tuttavia, basta poco per rendersi conto che, nell’osservare questi corpi indeboliti, quelli deboli e in pericolo siamo noi.

Con Predator, infatti, Caterina Notte ha desiderato riscrivere la fragilità, per dimostrare che anche la debolezza e ciò che appare più vulnerabile, può essere elemento di forza esasperata.

Infatti, le bende lasciano scoperti occhi, mani, lembi di carne. Il nostro occhio resta inevitabilmente attratto da ciò che è al di fuori della benda, al di fuori dell’elemento debole. Lo spettatore viene assalito da una sorta di cortocircuito visivo: queste donne bendate risultano più vive che mai, rafforzate dalla loro debolezza, consapevoli della loro sessualità – libera dallo sguardo esterno e sprigionata da loro stesse. Insomma, lo spettatore diventa “preda” e la figura debole diventa predatore. I ruoli si invertono, e nasce Predator.

Credits: Caterina Notte
Credits: Caterina Notte
Credits: Caterina Notte
Credits: Caterina Notte

Predator Ubiquity

Un progetto fotografico del genere denota già una grande potenza performativa, sia della realtà immortalata sia dei corpi che sembrano pulsare di vita al di sotto dei bendaggi. Ma Caterina Notte è voluta andare oltre, chiudendo il cerchio dell’accadimento, lavorando sulla stessa performance e invertendo ancora una volta i ruoli di predatore e preda.

Predator Ubiquity nasce come invito alla spettatrice a bendarsi, e a liberarsi dalle garze che la ricoprono. È come se le fotografie prendessero vita: nostra madre, nostra sorella, la nostra amica diventa la “modella”, fuoriesce dal frame per liberarsi dai bendaggi e sprigiona, con i propri gesti, la propria personale forza da predatore.

In questo modo, lo spettatore passivo di Predator ritorna ad essere soggetto attivo; ogni suo movimento di liberazione, che svolge le garze dal corpo, corrisponde ad una propria consapevolezza di sé e della propria debolezza, da cui trae forza. Il corpo diventa recettivo e si crea una collective performance che, alimentata dal potere di connettività del social network, elimina le distanze.

Ma perché lanciare Predator Ubiquity proprio su TikTok? Il social media asiatico sta acquisendo sempre più importanza, soprattutto tra i giovani. È una grande opportunità per accostare questa fetta di pubblico alla performance artistica e all’accettazione del proprio corpo e delle proprie imperfezioni. Questi, infatti, vengono oggi sempre più minati dai canoni e dagli standard perpretati proprio dai social, mietendo sempre più vittime tra i giovanissimi.

Credits: Caterina Notte
Credits: Caterina Notte

Partecipare a Predator Ubiquity non è dunque solamente partecipare ad un progetto performativo unico nel suo genere, se considerato nel panorama dell’offerta culturale interattiva proposta via social dall’inizio della pandemia. È anche un modo per avvolgere le proprie fragilità e liberarle, raccogliendole in queste simboliche garze che mai più che in questo momento medicano corpi tutt’altro che morenti.

Sara Maietta

 

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Sara Maietta
Una vita ascrivibile all'ABCD: aspirante curatrice, bookalcoholic, catalizzatore di dissenso e dadaista senza speranze.