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Società

17 maggio: Giornata Internazionale contro l’omolesbobitransfobia

Tempo di lettura: 3 minuti

Era il 17 maggio 1990 e l’Organizzazione mondiale della sanità eliminava l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali.

Nel 2004, Louis Georges Tin, curatore del Dictionnaire de l’homophobie, creava quella che oggi è la Giornata Internazionale contro l’omolesbobitransfobia. Ricorrenza che venne ufficializzata dall’Unione Europea nel 2007, in seguito ad alcune dichiarazioni contro la comunità LGBTQ+ da parte di autorità polacche.

L’obiettivo di questa ricorrenza è quello di promuovere e coordinare eventi internazionali di sensibilizzazione e prevenzione per contrastare l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia.

Ancora non ci siamo

Le discriminazioni che la comunità LGBTQ+ subisce tutt’oggi sono molte e differenti. Ancora oggi l’omosessualità è considerata reato in 69 paesi e in 6 viene punita con la pena di morte.

In Cecenia, ad esempio, le persone gay sono perseguite e rinchiuse in campi. Subiscono violenze e brutalizzazioni. Le testimonianze di chi è riuscito a scappare sono agghiaccianti e tremende. In Polonia , invece, sono 100 i comuni che si sono dichiarati “zona liberata dall’ideologia LGBT”.

Le persone bisessuali sono vittime di stereotipi e discriminazioni. Considerata spesso una “fase”, una “sperimentazione”. Non prese sul serio e spesso sessualizzate, pensando che la bisessualità sia così una “scusa” per poter andare a letto con più persone.

Per non parlare dell’asessualità (mancanza di attrazione sessuale) che viene spesso patologizzata e vista come un problema da cui è possibile guarire o delle persone intersessuali che subiscono mutilazioni genitali non consensuali.

La situazione italiana

La strada è ancora molto lunga per arrivare ad una vera e piena attuazione dei diritti delle persone LGBTQ+. Manca, ad esempio, una legge contro le terapie riparative, un metodo usato per cambiare l’orientamento sessuale di una persona.

Il nostro paese ha anche il numero più alto di omicidi ai danni di persone trans*. Infatti, il Trans Murder Monitoring ha rilevato che dal 2008 al 2016 si sono verificati 36 omicidi nei loro confronti.
Altro problema è anche di come i media e giornali italiani parlano delle persone trans*: usano il deadname (il nome dato alla nascita) e il misgendering (ad esempio, usare il femminile per un uomo trans*).

Bullismo e attacchi omofobici nei confronti di persone LGBTQ+ sono continui e persistono. Come nella storia di Erika e Martina: una coppia di ragazze lesbiche che ha creato una pagina, Le perle degli omofobi, dove riportano i continui insulti che ricevono.

Ma come si può pretendere di cambiare questa cultura quando anche nelle scuole si parla a malapena di ciò? O se si prova a parlarne ma la scuola ti viene contro e annulla tutto? Come nel caso di alcuni ragazzi di un liceo di Pisa che, durante l’autogestione, avevano invitato Dalia, una ragazza trans*, per parlare del “gender”, il tema scelto da loro. La scuola per paura di scandali ha annullato tutto all’ultimo momento.

Forse qualcosa si sta muovendo

Il 7 maggio la Germania ha ufficialmente approvato una legge che vieta le terapie riparative nei confronti delle persone LGBTQ+. Reato ora punibile con un anno di carcere o con una sanzione di 30 mila euro. In seguito a questa notizia, Possibile LGBTI+ ha avviato una campagna affinché anche l’Italia applichi una norma in merito.

Lo scorso Ottobre in Italia, invece, è stata discussa in Commissione Giustizia un testo di legge “in materia di violenza o discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere” presentato da Alessandro Zan. Uno dei problemi, infatti, è che manca una legge specifica contro queste violenze e che permetta di tutelare le persone.

Siamo nel 2020 e i problemi sono ancora tanti. Per cambiare c’è bisogno di un lavoro continuo e costante, ma per fortuna sono tante le persone che cercano di fare informazione, combattere e cambiare questo sistema.

Forse una luce in fondo al tunnel c’è.

Articolo a cura di:
Sara Najjar
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Sara Najjar
Nata nel 1996 a Bologna e cresciuta nell'hinterland modenese, è ritornata nella sua città natale da pendolare dove ha studiato prima Educatore sociale e culturale e poi Pedagogia. Si circonda di gatti fin da quando è piccola e, tra le tante cose, si ciba di musica (principalmente indie), serie tv, libri e scrittura.