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Editoriali

Ecco come la sharing economy potrebbe salvarsi dalla crisi Coronavirus

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#Iostoacasa: a AirBnb e a Uber non piace questo elemento. Eh già, perché il distanziamento sociale dettato dal Coronavirus in piena crisi sanitaria mondiale non va esattamente a braccetto con la condivisione di esperienze e valori proprie della sharing economy. E indovinate cosa succede quando milioni di persone si ritrovano chiuse in casa da un giorno all’altro? Facile: il sistema implode.

“La crisi mi ha fatto sentire come se fossi il capitano di una nave colpita da un siluro”.

E anche noi ci sentiremmo così se fossimo l’amministratore delegato di AirBnb, sir Brian Chesky, che l’anno scorso a quest’ora aveva totalizzato dall’avvio dell’attività ricavi per circa un miliardo di dollari. Anzi, ripensando a come è nata la società (in piena crisi 2008), all’eccezionalità di una pandemia in epoca moderna e alla velocità per cui non si è riusciti a correre ai ripari, forse è proprio il caso di dire che quel siluro non è arrivato di lato. Ma proprio in quel posto.

Dopotutto l’era della sharing economy non sarebbe potuta durare in eterno. L’economia ciclica e i cambiamenti sociali non rendono immortale un successo, anche di lunga durata. Anzi, la teoria aziendale afferma che la sopravvivenza di un’organizzazione sta proprio nella sua capacità di reagire al cambiamento. Ma come reagire agli stimoli dell’ambiente esterno se è quello stesso ambiente che regala i semi su cui innalzare gli alberi del business?

Infatti, a chi non piace viaggiare o spostarsi a poco prezzo? E se aggiungessimo l’esperienza umana dei locals? Per non parlare dei locali veri e propri, quegli uffici in cui si lavora in open space con altri professionisti grazie ai quali si abbattono i costi e si guadagna in sapere condiviso. Non dimentichiamoci poi di menzionare i servizi di sharing mobility, quelli che per mesi ci hanno permesso di usare un’auto o una bici nuova senza comprarla. Due piccioni con una fava che difficilmente, almeno fino ad oggi, si sarebbero potuti mettere in discussione.

Ma la crisi ci aspettava e con essa la previsione economica di un PIL mondiale al ribasso del circa 3%. Che per il mondo della sharing economy significa milioni di persone senza lavoro. Chi è dipendente diretto di aziende il cui core business è la sharing economy rischiano di rimanere disoccupati. Chi, invece, riusciva ad ottenere un’entrata extra subirà certamente una contrazione dei guadagni. Chi viveva solo di condivisione non potrà accedere agli ammortizzatori sociali. E chi viveva di esperienze? Non si può nulla contro il distanziamento sociale non preventivato, quindi soffrite in silenzio.

 

Sharing soluzioni

È difficile mettersi in gioco in piena crisi economia, sanitaria e morale, ma è obbligatorio al fine della propria sopravvivenza. Perciò, per queste aziende colosso arrivate al collasso, l’unica speranza di salvarsi è quella di reinventarsi, trovare un’idea nuova che permetta loro di non annegare. Bensì trovare una strada alternativa come quando sono state fondate. Chi avrebbe mai pensato, nel 2008, di affittare la propria stanza a stranieri in vacanza e diventare anch’esso parte attiva della sharing economy? E allo stesso tempo gettare le basi di una massiccia operazione marketing che infondi coraggio e sicurezza nei propri “sottoposti”, oltre che ad appoggiarli moralmente ed economicamente.

Ora, però, l’unica certezza è la speranza che prima o poi tutto torni come prima. O forse no? Come dice Brian Chesky:

“Esplorare è un bisogno fondamentale dell’animo umano e credo che dopo il Coronavirus torneremo a viaggiare più di prima. Tuttavia potrebbero volerci anni.”

Carlotta Cuppini

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Carlotta Cuppini
Fondatrice di Borderlain, le piace organizzare persone e progetti con sorridente serietà. Based un po' in MIlan un po' Bologna, beve caffè amaro al mattino e vino rosso la sera. Colleziona edizioni di 'JF è uscito dal gruppo' che tiene sul comodino insieme a manuali di project management.