Da febbraio 2020 il Covid-19 è entrato a far parte della nostre vite.
Costringendoci ad un contratto a tempo indeterminato di convivenza (ma non in ambito lavorativo), il Covid-19 ha radicalmente stravolto ogni aspetto della nostra esistenza. Così ci siamo dovuti reinventare in ogni campo, dal lavoro fino alla camera da letto.
Sì, perché se a risentire del Covid-19 sono stati soprattutto gli ambiti relazionali, il primo fra tutti è quello che prevede maggior contatto: il sesso. Un argomento attorno alla quale ancora oggi esiste un enorme tabù che, se possibile, in tempo di pandemia ha complicato ulteriormente tutto.
Un tabù italiano
Non se n’è parlato.
In Italia la scelta è stata quella di glissare sull’argomento “sesso” con lo stesso pudore con cui alle elementari ci raccontavano dell’apina e del fiore. Se infatti le autorità sanitarie olandesi, spagnole e newyorkesi hanno fornito linee guida chiare e precise, il Ministero della Salute del nostro paese si è chiuso in silenzio stampa. Non è stato considerato importante parlarne.
Ancora una volta, quindi, ci siamo dimenticati che la salute sessuale non è una dimensione a sé, ma fa parte del benessere dell’individuo. I dati lo dimostrano.
Su sette mila persone, prese in esame da uno studio fatto dall’università di Tor vergata (Roma), infatti solo coloro che hanno continuato ad avere una vita sessuale attiva hanno mostrato un livello minore di ansia e di depressione.
I tabù però sono come il Covid-19: duri a morire. E così mentre i rapporti sessuali calavano di circa il 60%, abbiamo dovuto imparare da noi nuovi modi per vivere la nostra sessualità in sicurezza. Ci siamo aperti quindi al sexting, ai sex toys e a qualsiasi cosa fosse lecito fare online, ma ciò non è stato vero per tutti.
Ancor più che il sesso infatti ad essere un tabù è la masturbazione, e più nello specifico quella femminile. E se in tempi di pre-epidemia solo il 47% delle donne affermava di masturbarsi, difficilmente questa percentuale sarà esplosa con lo stress e l’ansia dovuti alla quarantena. Un periodo in cui d’altra parte si è registrata una diminuzione nella fruizione di contenuti pornografici da parte del pubblico femminile, di circa il 10%.
La quarantena ha dunque messo dura prova la nostra salute sessuale, senza che fossero fornite indicazione di aiuto concrete con serie conseguenze anche per il “dopo”.
Una “seconda verginità”
L’hanno chiamata “sindrome della seconda verginità” la condizione di coloro che a maggio si sono riapprocciati al sesso dopo un’astinenza imposta dalla quarantena. La perdita del contatto con la propria sessualità e con la dimensione del piacere ha portato infatti molti a vivere con una rinnovata “ansia da prestazione” l’incontro con l’altro. Come da adolescenti si è dovuto rimparare a gestire l’intimità, con l’aggiunta dell’epidemia come aggravante. E, come per gli adolescenti (la cui educazione sessuale è spesso lasciata a Pornhub) sono mancate le coordinate per farlo.
Il Covid-19 dunque ha mostrato ancora una volta quanto il vivere in una società sessuofobica sia in grado di influenzare la nostra salute psicofisica e questo non è neppure l’aspetto più grave.
La discriminazione imperante
Lo stigma legato alla sessualità da sempre ha generato una radicata discriminazione nei confronti di coloro che scelgono di farne un mestiere: le sex workers.
Lo stato non se ne occupa, non se n’è mai occupato, assumendo (spesso) una posizione abolizionista. Quest’ultima tuttavia non risolve il problema delle necessarie tutele lavorative, e così, durante questa pandemia, il problema è esploso. Nessuna assistenza economico-sociale è stata infatti garantita alle sex workers, e molte si sono trovate a scegliere: o morivano di fame o rischiavano di prendere il Covid-19. La scelta è ovviamente caduta sulla seconda, condannando queste donne ad essere la carne sacrificabile sul banco dell’ipocrisia dei perbenisti. Sono molti infatti a non essersi fatti scrupoli nel richiedere i loro servizi, tanto che i numeri del sito “Escort advisor” hanno subito una vera e propria impennata.
Se dunque di sessualità e benessere non si è parlato, problemi non ce ne sono stati nello sfruttare una categoria di persona in difficoltà. Ciò è stato possibile grazie soprattutto a quel velo di tabù in virtù del quale ancora, nell’incertezza di oggi, lo stato non si prodiga per assicurare assistenza alle Sex workers.
Anche nell’ambito della sessualità dunque il Covid-19 ha mostrato le contraddizioni e i problemi di un società che si è scoperta ancora più fragile dopo questo anno.
La pandemia ci ha dimostrato l’importanza del contatto, del rapporto fisico e in generale di una dimensione quale quella della sessualità da cui il nostro benessere non può prescindere.
Necessario è allora capire come lavorare affinché stigma e tabù vengano a meno allo scopo di costruire una riflessione che sappia guardare anche oltre la pandemia.