Dino Buzzati
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114 anni fa nasceva Dino Buzzati, scrittore dell’ineluttabile

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Il 16 ottobre 1906, alle porte di Belluno, nasceva da padre di origine ungherese e madre veneziana Dino Buzzati, un autore destinato a ridisegnare le declinazioni del gusto letterario novecentesco.

Da giornalista praticante per il Corriere della Sera a 22 anni (come redattore prima e inviato poi, ma già con aneliti narrativi), Buzzati fa le prove generali della futura carriera. Si dedica infatti alla pubblicazione di elzeviri di raffinatissimo pregio letterario, che si riveleranno tuttavia invisi alle grandi firme del giornale. Un ostracismo più o meno velato che tuttavia non vedrà l’autore bellunese scomporsi più di tanto.

Il deserto dei Tartari

Gli elzeviri e i racconti brevi pubblicati proprio sulle pagine del Corriere saranno per Buzzati il preludio agli esordi romanzeschi, con le pubblicazioni di “Barnabo sulle montagne” e “Il segreto del Bosco Vecchio”. Ciò nonostante, a consacrarlo come stella polare del firmamento letterario medio novecentesco sarà il 1940, anno di uscita del romanzo-cardine della produzione buzzatiana. Il Deserto dei Tartariinfatti, fa registrare una netta cesura con le tendenze rigidamente “sistematizzate” di quel periodo letterario.

Si aprirà la strada ad una rinnovata eterogeneità della narrativa che vedrà fiorire, pur all’interno di una forte pressione neorealista-esistenzialista proveniente anche dal contatto con la letteratura francese, una straordinaria varietà di forme e temi nuovi. Sarà relegata in secondo piano non solo la letteratura sociale, ma addirittura la poesia.

Dino Buzzati, scrittore dell’ineluttabile

“Il Deserto dei Tartari” è il manifesto del pensiero buzzatiano, della sua visione ineluttabile del destino e della relatività spazio-temporale che permea le sue atmosfere. L’itinerario che Buzzati tratteggia per Giovanni Drogo, stranito protagonista, è una traiettoria imperniata su un simbolismo che congiunge in un solo abbraccio il realismo magico e l’esistenzialismo. Il tenente, inviato ai bordi del deserto in una defilata fortezza, vive un’alienazione di immobilismo e angoscia. Il disagio psichico si manifesta nella veste dell’attesa, quella dell’imperscrutabile invasione dei Tartari, anticamera del beffardo destino.

L’iniziazione alla morte, la sfasatura temporale tra gli eventi e le visioni del protagonista e la vacuità spaziale della Fortezza volteggiano insieme nell’aria dandosi la mano, rendendo il romanzo ovattato. Ai limiti del fiabesco, ma con l’ovvia discrepanza della frustrata ricerca di trascendenza. E, naturalmente, con l’ombra della morte sempre presente. Un’inesorabilità abbinata all’illusione che sarà anche il cuore di racconti come “L’uomo che volle guarire” o “I sette piani”.

Dino Buzzati, Kafka italiano?

Fu così che la critica definì a più riprese Buzzati, accostandone all’autore praghese i tratti surrealistici e realistico-magici. Quel che è certo è che, insieme ad Italo Calvino, Buzzati ha rappresentato la pietra angolare da cui ha preso le mosse una nuova era per la scrittura fantastica. Oltre al merito imperituro di aver colto l’immanente inconsistenza della vita umana, protesa da sempre verso il nulla. Del resto i Tartari, si sa, si fanno sempre attendere un po’ troppo.

Mattia Passariello

 

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