Votare al referendum
Politica

Votare al referendum: se questa è una riforma costituzionale…

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Il referendum costituzionale circa la riduzione del numero dei parlamentari, dopo il rinvio causa pandemia, è ormai alle porte. Anche se, data la scarsa attenzione riservatagli dalla scena politica, non si direbbe. Le concomitanti elezioni regionali, infatti, fanno certamente più gola, non solo alle opposizioni.

Una questione del genere, però, meriterebbe riflessioni più profonde di quelle dettate dalla becera tattica politica. Informarsi, capire come funziona, comprendere cosa c’è in ballo. Dibattere seriamente e poi votare: questo è il vero senso della democrazia. E il referendum ne è uno degli istituti più alti, tra le massime esplicitazioni del volere popolare. Sempre che un popolo sia in grado di volere, e pure di intendere, già che ci siamo.

In concreto, questa “riforma” (per la quale si richiede l’assenso referendario) ad altro non varrebbe se non ad abbassare il numero dei parlamentari italiani. Dagli attuali 945 (630 Deputati e 315 Senatori) si passerebbe a 600 totali. Una diminuzione di oltre i 30 punti percentuali che ci farebbe passare dal primo all’ultimo posto nella classifica europea dei paesi con il maggior numero di rappresentanti. Tanto che, se vincesse il “Sì” – com’è probabile, considerato che la validità del referendum confermativo prescinde dal raggiungimento del quorum costitutivo – alcune regioni finirebbero per non avere rappresentanza in Senato e l’accesso dei partiti più piccoli al Parlamento potrebbe essere compromesso, dal momento che con meno posti a sedere è facile si alzi l’asticella delle soglie di sbarramento.

Dunque perché?

Gli scopi dichiarati dai promotori sono sostanzialmente due: ridurre sensibilmente i costi della politica e snellire il processo legislativo. Che un simile intervento possa bastare al loro raggiungimento, però, sembra impensabile.

Il taglio, infatti, avrebbe un impatto al limite dell’irrilevanza sul bilancio dello Stato, con un risparmio per le casse statali di appena lo 0.01 % annuo. Più o meno come se si allagasse un teatro e si decidesse di svuotarlo dell’acqua, in due ore, con una tazzina di caffè. Pensare, poi, di velocizzare il processo di legiferazione in Italia mantenendo il bicameralismo paritario è così semplicistico da risultare ingannevole.

Inoltre, nessuna legge elettorale si è nemmeno pensata, per rendere credibile quantomeno l’intenzione di migliorare gli organi di rappresentanza italiani. Anzi, gli stessi partiti e quel poco di opinione pubblica che si è interessata alla vicenda si sono concentrati sui numeri della rappresentanza; e cioè se il rapporto rappresentante/rappresentati, con la nuova composizione del Parlamento, possa ritenersi adeguato per un confronto diretto con gli elettori, come si auguravano i padri costituenti. Dibattito giustissimo, per carità, se non fosse che con le liste bloccate gli italiani non scelgono direttamente la maggioranza dei propri rappresentanti quantomeno dal 2005 (entrata in vigore della legge Calderoli, o Porcellum, che dir si voglia).  Altro che rapporto diretto.

Questione politica

Infine anche il Partito Democratico ha rotto gli indugi e un silenzio che iniziava a preoccupare i sostenitori del Governo. La Direzione ha dato il nulla osta al segretario Zingaretti che ha così relazionato: “Mentre propongo il SI dico che dobbiamo respingere le motivazioni banali che il taglio del numero dei parlamentari farebbe risparmiare soldi allo Stato. I risparmi sarebbero minimi e non costituiscono il motivo principale del nostro si’. Il motivo principale sta nel fatto che a questo atto possono seguire altre riforme”.

Fra le righe, dunque, il segretario dei democratici ha rinforzato l’alleanza di Governo, nella speranza di successivi interventi riformatori e in vista delle imminenti elezioni regionali, pur riconoscendo l’incompletezza dell’attuale disegno. Tant’è che ha espresso il proprio assenso a una raccolta firme per una proposta di legge popolare con oggetto il bicameralismo differenziato. Praticamente quello che Renzi (piaccia o meno) aveva ideato e approntato già nel 2016, mentre i promotori dell’attuale riforma a cinque stelle ne osteggiavano la buona riuscita (in combutta con Salvini) con l’intelligente e pertinente argomentazione: “Via Renzi!”. Parte del PD, allora, tacendo, sorrideva.

In definitiva il 20 e 21 settembre si vota un “taglio” che sogna di diventare una “Renzi-Boschi”. E spera di farlo, come nelle migliori fiabe. Affrontando mille peripezie, partendo dal basso, con una proposta di legge popolare, proposta al popolo da dei parlamentari.

Morale della favola…

E così  è successo che i 5 Stelle sono riusciti a politicizzare l’ennesimo referendum, svilendone la funzione più propria e la valenza più profonda. La buona riuscita della consultazione popolare potrebbe, infatti, fare da cuscino al tonfo che le previsioni di voto profetizzano per il movimento nelle sette regioni che si apprestano alle urne.

Chi vivrà vedrà. Per ora solo sappiamo che, se trionfasse il “Sì”, l’unico effetto che vedremmo nel breve periodo sarebbe vedere Di Maio andare in giro dicendo di aver “abolito la povertà”, “scardinato la casta” e ora anche “abbattuto i costi della politica”. Poi magari arriverà Salvini a dire di aver ereditato i valori di Berlinguer.

E allora diciamo pure che Zingaretti ha ereditato il carisma di Che Guevara, e non se ne parli più.

Enzo Panizio
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