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Il Joker di Phoenix: due mesi dopo – e con Natale di mezzo – cosa resta?

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Joker: lo siamo tutti, tutti vorremmo esserlo. Joaquin Phoenix ed il suo pagliaccio sadicamente umano, hanno riaperto le ferite di quelli che si sentono vittime del sistema. Era il 3 ottobre 2019 quando la prima proiezione italiana della pellicola arrivava nei cinema. Tra titubanze, aspettative e anche noia nel rivedere un personaggio riproposto con varie sfumature da diversi interpreti. Come Heath Ledger, diventato IL Joker nel “Cavaliere Oscuro” di Christopher Nolan. Una santificazione oscurata da Phoenix, nuovo idolo dei reietti che, nonostante le attenuanti, non risorge: precipita. A distanza di due mesi cosa è rimasto di una morale e di un storia di ancora difficile codifica? Soprattutto, con l’avvicinarsi del Natale, cosa pensare di un perseguitato che, per fuggire, diventa carnefice?

La solitudine dei numeri zero

Fatturato schizzato per chi vende costumi di Halloween e un punto di domanda: ci sarà il sequel? Grosso modo, è questa l’eredità del Joker di Todd Phillips. Certo, magari in mezzo c’è dell’altro. Ad esempio quella chiave di lettura secondo cui una società cieca, insensibile ai richiami d’aiuto, finisce per calpestare chi riga dritto. Chi c’è ma non batte più un colpo, ha smesso di crederci, occupando spazio più che vivendo. Facendo poco rumore, come quel grido strozzato che si confonde tra la folla, diventando sempre più flebile, impercettibile, sino ad essere sommerso. È la storia di Arthur Fleck, è la vicenda di chi prova a non fare del male al prossimo e vive di speranza. Tutto questo, secondo le ricette religiose, basterebbe per meritarsi una sorta di pensione etica, una rendita spirituale che assicurerebbe un’esistenza serena. Purtroppo però, non funziona così: la beatificazione, la gloria eterna, l’eterno riposo o roba simile, arrivano solo alla fine, quando le luci si spengono e, per giunta, per chi delinque c’è persino la redenzione. La prescrizione dei peccatori, il buono che diventa cattivo ed il nato cattivo che si redime.

Il male per arrivare al bene

La vita è così, ci hanno fatto credere che sia così. C’è sempre tempo per cambiare e con il male a volte si può far del bene. Nelle favole e nelle parabole questo concetto è come la salsa barbecue con i nuggets (a meno che non siate ancora appassionati del cacio coi maccheroni). Nella vita reale invece, non basta aver sofferto per avere l’autorizzazione ad infliggere del male. Crediamo di essere tutti dei provetti Arthur Fleck, corrosi da un sistema corrotto e per questo obbligati a corrodere per lenire il dolore. Alla fine però, siamo solo la copia sbiadita, la foto mossa, sgranata, o la contraffazione mal riuscita dell’originale. È sempre così, è il bello ed il brutto del cinema. Accendere i riflettori per poi, una volta spenti, ricoprire di un buio anonimo e omertoso ogni cosa. In questo senso, il Natale è più purificante di una settimana in Spa. Regali e abbracci per lucidare una fedina spirituale lercia per 11 mesi. La storia di Arthur Fleck non è quella di un buono legittimato ad essere cattivo, è il dramma dell’isolamento, la maledizione di chi soffre e odia far soffrire. È storia di colpe, le nostre, che non riusciamo a vedere. Joker, come Cristo, lo abbiamo condannato noi. Buon Natale.

Luca Villari

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