Politica

Israele e Palestina: è difficile parlarne, ma bisogna farlo

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È difficile parlare di ciò che sta succedendo tra Israele e Palestina in maniera neutrale. Ciò non significa, però, che non bisogna farlo.

È altrettanto difficile considerare che questa sanguinosa quanto annosa guerra tra terre divise da un confine imposto da terzi rispetto ai diretti interessati- un po’ come accade in merito ad un altro complicato conflitto irrisolto, quello del Nagorno-Karabakh -, non sia la prima; e con molta probabilità non sarà l’ultima, fin quando non verranno meno gli interessi politici ed economici internazionali che esulano dalla questione strettamente israelo-palestinese, ma che ne hanno complicato l’esistenza fin dagli albori. Ed è anche significativo che tutto questo stia accadendo proprio nell’anniversario dell’istituzione dello Stato di Israele, nel lontano (nemmeno tanto) 1948.

I fatti

Il 15 maggio dell’anno 1948 una parte di territorio fino a quel momento palestinese si svegliava ufficialmente per la prima volta, come Stato d’Israele. Il 15 maggio di 74 anni dopo si sveglia nel pieno del settimo conflitto aperto con i suoi vicini palestinesi, a cui ha sottratto, o ha ripreso, territori e popolazioni. Dipende dal punto di vista, che non è quello che oggi vogliamo qui affrontare, alimentando l’idea scorrettissima che in questa guerra tra Israele e Palestina ci siano dei buoni e dei cattivi riconducibili alle singole parti in gioco.

Israele è uno di quegli Stati letteralmente “nato a tavolino“. Dopo la fine della seconda guerra mondiale e la tragedia della Shoah, il 29 dicembre 1947 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò un piano di partizione della Palestina (come se si trattasse di una torta da dividere a metà, poco importa degli ingredienti con cui questa è stata realizzata). Tale piano prevedeva la costituzione di due stati indipendenti, uno ebraico e l’altro arabo; rispettivamente, Israele e Palestina. Si contano almeno sette guerre, vere e proprie, dalla nascita di questo staterello. Una storia infinita all’interno del quale, col tempo, le situazioni si sono fatte inevitabilmente sempre più complesse ed intricate.

Ora, immaginate di trovarvi con vostro fratello di fonte alla torta che adorate, e supponiamo che questa sia panna e fragole. Avete sempre litigato per affermare la supremazia della panna sulle fragole, o viceversa, perché uno sente suo quel gusto rispetto all’altro, e la vostra pasticceria di fiducia esagera o scarseggia sempre con l’uno o con l’altro ingrediente. Discutete per anni sulla questione, poi un bel giorno arriva vostra madre e divide la torta per voi.

Sfido chiunque a dire che sarebbe felice così. Punto primo, non lo sarebbe perché la decisione non è propria; punto secondo, non avrebbe mai la quantità rivendicata e anzi, sarà eternamente insoddisfatto. Magari a voi piacciono le fragole e ritenete che vostro fratello ne abbia molte di più, e non è giusto. Viceversa con la panna.

Con questo paragone probabilmente infelice – ma con la quale si spera di far cogliere la semplicità insita, paradossalmente, alla complessità della questione tra Israele e Palestina – , provate ora a sostituire la torta con quella porzione di territorio del medio oriente che insegnano al Catechismo. Prendete l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel ruolo di vostra madre, che decide di fare della panna Israele, e delle fragole la Palestina. Non considerando che sia le une che le altre capiteranno un po’ sparse nella fetta di ciascuno di voi due.

 

Il problema non è solo la guerra, e la terra non è una torta

Il conflitto tra Israele e Palestina non avrà mai un vincitore un vinto, perché nasce come conflitto impari e malato. E questo, si spera, sia un dato di fatto.

Inoltre, da quando Hamas, il governo “terroristico” della striscia di Gaza, ha aperto le ostilità verso Israele, lanciando duecento razzi nella sola mattinata del 12 maggio, l’informazione ha avuto una duplice reazione, due facce di una stessa medaglia. Da un lato c’è stato l’accanimento verso l’uno o l’altro Stato e si è teso, in maniera semplicistica, a ridurre la sinistra estrema alla difesa dell’insurrezione palestinese. Come sempre, la sinistra è passata per colei che giustifica il terrorismo; anche se, così facendo, si semplifica enormemente, come a fare di tutti dei Brigatisti. La destra, invece, assetata di potere (o, comunque, la classe politica dirigente, nel caso strettamente italiano) si è eretta alla difesa di Israele e la sua (il)legittimità di esistenza.

Altra faccia, invece, è stato il silenzio assordante. Nella vita di tutti i giorni ci si è tirati indietro di fronte alla discussione del caso, e anche molti media hanno sottolineato la difficoltà di analizzare la questione. Che è indubbiamente delicata, ma non è necessaria una grande formazione culturale per comprendere i punti focali della questione: ovvero, la rabbia dei palestinesi e le ingiustizie che questi hanno dovuto subire; la difficoltà del popolo ebreo ad affermare la propria esistenza una volta e per tutte come popolo unito, con una propria terra; l’intromissione esasperante dell’eurocentrismo nei conflitti medio-orientali dall’Ottocento ad oggi

Le domande

Con quale coraggio si possono incolpare i palestinesi della loro insurrezione, oltremodo giusta e comprensibile? E con quale coraggio si può inneggiare alla morte della nuova generazione di israeliani, la cui colpa è quella di essere nati in uno Stato illeggitimo (senza il quale prima si conviveva pacificamente tra villaggi)?

E per quale motivo non sarebbe giusto parlarne? Se la verità sta nel mezzo, perché non utilizzare il linguaggio e l’informazione – quella pulita, corretta, il più possibile obiettiva e analitica – per cercare di capire che secoli di esasperato eurocentrismo e occidentalismo hanno rovinato la vita a interi popoli di mezzo mondo?

La colpa di quello che sta succedendo tra Israele e Palestina è soprattutto delle decisioni del nostro passato da porzione ricca del mondo. La questione poteva essere risolta pacificamente senza che, per l’ennesima volta, i Paesi forti vi si intromettessero? non possiamo averne la certezza, ma forse qualcosa di migliore ne sarebbe uscito: al più che l’intervento dei continenti “pacificatori” non sembra abbia dato in tutti questi anni i risultati sperati.

Parliamo, dunque, di Israele e Palestina. È difficile farlo, ma è necessario: per assumere consapevolezza sul fatto che il mondo in bianco e nero non esiste, e che l’intromissione da parti terze, per la maggiore, lucra a scapito di altri. 

Lasciate, dunque, che il popolo palestinese lotti per i propri diritti usurpatigli ingiustamente da un momento all’altro, e prima di prendere le parti di qualcuno, se proprio dovete, utilizzate giudizio critico. Non vi stiamo invogliando a fare gli ignavi, ma a prendere posizione consapevoli del fatto che spesso i cattivi lo sono perché non hanno deciso autonomamente di esserlo. E la radice del male, forse, è davvero altrove. Pensateci quando inneggiate alla strage dei fastidiosi palestinesi o degli illegittimi israeliani, comodamente distesi sul vostro divano.

Sara Maietta
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1 Comment

  1. Israele non è uno stato illegittimo, dato che è nato in base a trattati basati sul diritto internazionale.
    La nascita di Israele fu sancita col trattato di San Remo e non col la dichiarazione del 1947.

    La invito a guardare il seguente documentario e quindi a rettificare le informazioni errate che sta diffondendo.

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Sara Maietta
Una vita ascrivibile all'ABCD: aspirante curatrice, bookalcoholic, catalizzatore di dissenso e dadaista senza speranze.