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Coronavirus: medici e infermieri allo stremo, non solo fisicamente

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Da un giorno all’altro medici, infermieri e operatori sanitari si sono trovati a vivere una situazione senza precedenti, “una guerra”, come molti l’hanno definita. E sono proprio loro, insieme ai malati, a doverla combattere ogni giorno. Perché è solo all’interno dell’ospedale che si può avere una reale percezione di ciò che sta accadendo. È solo lì dentro che i numeri che ogni giorno vediamo e sentiamo acquistano un volto, un nome, una famiglia. E per coloro che vi sono dentro, questa situazione può avere delle serie ripercussioni, a livello mentale e psicologico.

In qualsiasi casa andrò, io vi entrerò per il sollievo dei malati, e mi asterrò da ogni offesa e danno volontario, e fra l’altro da ogni azione corruttrice sul corpo delle donne e degli uomini, liberi e schiavi. (giuramento di Ippocrate)

Eroi di giorno, fragili umani di notte.

Di fronte a giornate che a tutti noi appaiono interminabili, stressanti, per molti versi angoscianti,  vivono tutto questo in maniera ancora più amplificata. Nel loro caso si aggiunge la paura di diffondere ulteriormente il virus, facendo ammalare oltre ai pazienti i loro cari. E talvolta questa paura si esaspera diventano ansia paralizzante che li porta a compiere gesti estremi: è il caso di un’infermiera dell’ospedale San Gerardo di Monza, che risultata positiva al Covid-19, si è tolta la vita perché temeva di aver contagiato altre persone. Un gesto che fa riflettere sulle pressioni e le preoccupazioni che gravano sulle spalle di medici e infermieri.

I medici hanno fatto un giuramento e per questo sentono un forte senso di responsabilità al quale non riescono a sottrarsi, ma lavorare da mattina a sera, senza poter mangiare né bere perché questo significherebbe dover cambiare mascherina, è una condizione che nessuno dovrebbe mai trovarsi a vivere.

Al limite dell’umano

Gli operatori sanitari sono spesso dati per scontato: “tanto sono già abituati a vedere cose del genere”. Chi afferma questo dimentica che il Coronavirus ha cambiato ogni protocollo, ogni abitudine: nulla sembra più avere senso. Medici e infermieri vivono ogni giorno situazioni al limite dell’umano: costretti a dover avvisare via telefono i parenti dei malati che si stanno spegnendo, vedere ogni giorno persone soffrire in solitudine, dover intubare buona parte dei malati, e per giunta, tornare a casa dopo un’estenuante giornata di lavoro e dover restare con la mascherina, a debita distanza dalla propria famiglia senza nemmeno potersi concedere il meritato riposo. Anche se poi, come possono riposare pensando che in poche ore dovranno tornare in trincea e affrontare ancora una volta quel terribile mostro invisibile?

Lo stato c’è. Ma è davvero così?

Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha affermato nelle sue (innumerevoli) conferenze stampa che lo Stato c’è: “nessuno deve sentirsi abbandonato”. Ma se è davvero così perché gli operatori sanitari continuano a contagiarsi ogni giorno per mancanza di materiale sanitario?
Al motto di Conte, se ne va ad affiancare un altro che a questo punto suona più come una cantilena: “l’Italia dispone di un eccellente sistema sanitario”. Sì, è verissimo, e ciò è solo ed esclusivamente dovuto alla forza e alla determinazione di medici, infermieri e volontari. C’è però un grave problema che sta nell’organizzazione strutturale del sistema sanitario e nella mancata preparazione di fronte a un’emergenza di questo tipo. Lo Stato di certo non si aspettava che una crisi pandemica potesse manifestarsi da un giorno all’altro, ma comunque si è fatto trovare sprovveduto e inesperto. E tutto questo su chi si ripercuote? Su coloro che oggi si trovano a dover curare parenti e amici, che vivono nella paura cronica, nel dolore e nella frustrazione.

A voi che (fortunatamente) vivete questa situazione da spettatori, porgo l’invito a stringere i nostri medici, infermieri e operatori sanitari in un forte abbraccio (virtuale), trasmettendo loro tutta la vostra solidarietà. Ricordiamogli che l’Italia c’è, e a loro è infinitamente grata.

Chiara Cogliati
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Chiara Cogliati
Da un anno vive a Venezia dove studia, ogni tanto si rintana leggendo e ogni tanto pensando, anzi spesso, serve per fare tutto il resto. Le piace ascoltare, le riesce meglio che parlare, ma per fortuna sa anche scrivere, un pochino, e allora quello che vorrebbe dire a parole lo scrive, così si diverte.