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Cronache da Biografilm Festival 2020: la sedicesima edizione è online

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È iniziata il 5 giugno la 16a edizione di Biografilm Festival (5 – 15 giugno), rassegna bolognese dedicata ai documentari e alle biografie. Quest’anno l’iniziativa ha riservato uno spazio online per non lasciare il pubblico all’asciutto della sua sempre innovativa offerta cinematografica.

La programmazione

Immaginando una sala virtuale in collaborazione con MyMovies, Biografilm ha messo insieme una selezione di quaranta film, disponibili gratuitamente previa prenotazione da effettuarsi sulla piattaforma apposita.
La programmazione di quest’anno si distingue per il largo spazio dato alle opere prime e a film documentari diretti da donne. «È una grande emozione presentare al pubblico di Biografilm l’opera di alcuni maestri, di tanti talenti già noti e premiati, e al tempo stesso puntare sulle opere prime, ben il 45% nei due concorsi», ha dichiarato la direttrice Leena Pasanen, al suo primo anno alla direzione di Biografilm. «Sono orgogliosa di poter dare spazio a un cinema sempre più fatto da donne, alla regia ma anche alla produzione e in tutti gli altri ruoli. Se consideriamo i film in concorso, la percentuale delle registe arriva al 45%».

FAITH di Valentina Pendicini (Concorso Internazionale)

Da uno sguardo femminile arriva infatti Faith, documentario d’apertura di questa edizione diretto da Valentina Pedicini e in gara al Concorso Internazionale. Giunto direttamente dalla selezione ufficiale di Berlino 2020, il lavoro della regista indaga la quotidianità di una piccola comunità di monaci cristiani, isolatisi sulle colline marchigiane per praticare il kung fu e prepararsi a combattere le forze del male. I “guerrieri della luce” vengono guidati da un maestro di arti marziali che ha dedicato tutta la sua vita alla cura di questo spazio e alla diffusione dei suoi principi: sfiancanti sessioni di allenamento, clausura, confronti notturni con il maestro e regole durissime.

Dopo aver vissuto per quattro mesi con loro, la mano della regista restituisce un’immagine in bianco e nero estremamente rispettosa di tali scelte di vita: intercettando con più efficacia l’espressività di corpi e sguardi ancor prima dei significati delle loro parole, la camera si limita a riportare sullo schermo le contraddizioni e i drammi vissuti dai componenti della comunità. Ci si ritrova così a seguire la storia di chi deve riprendere il suo percorso dopo mesi di pausa, di una famiglia alle prese con l’educazione di due bambini piccoli, degli atteggiamenti di un capo che nel lasciare il massimo di libertà ai propri seguaci li investe di responsabilità fittizie, con la promessa di una presunta liberazione dall’oscurità.

Le ambiguità di sprecano e i tratti di malinconia offertici sono già sufficienti per farsi un’idea della prospettiva deformante dalla quale questi personaggi guardano la propria vita. È quasi un peccato allora che la Pedicini abbia deciso di omettere tutta una serie di informazioni fondamentali per comprendere il significato più ampio di questa filosofia di vita: quali sono i mezzi di sostentamento della comunità? Da dove nasce quest’idea e quali sono state le tappe della sua realizzazione? Esiste un punto di arrivo al termine di questo percorso? Quali sono le ragioni che hanno spinto queste persone ad unirsi alla causa? Tutte domande che lo spettatore non può evitare di porsi durante la visione. Quesiti che per avere risposta richiederebbero un affondo dentro le storie precedenti e collaterali ai momenti colti all’interno dello spazio-tempo del monastero; momenti che come il resto del mondo vengono esclusi, cancellati dall’orizzonte in nome di una fede assoluta e totalizzante nel presente, nella visione del maestro e nella veridicità delle sue (ben povere) massime filosofiche.

L’impressionante sequenza finale racconta la disarmonia e il disagio della visione, chiudendo – come aveva iniziato – con una domanda posta in epigrafe attraverso le parole di Buzzati: «tutti là dentro si erano dimenticati che in qualche parte del mondo esistevano fiori, case allegre e ospitali. Tutto là dentro era rinuncia. Ma per chi? Per quale misterioso bene?»

IN UN FUTURO APRILE di Francesco Costabile e Federico Savonitto (Biografilm Italia)

Il primo film della sezione Biografilm Italia è invece un delicato omaggio alla giovinezza di Pier Paolo Pasolini e alla scoperta della potenza poetica della parola. Con In un futuro aprile i registi Francesco Costabile e Federico Savonitto mescolano con grande efficacia i ricordi del cugino e poeta Nico Naldini a immagini di repertorio, interviste e letture dai diari e dalle poesie dello stesso Pasolini. Un lavoro di composizione che sul fronte formale nulla avrebbe di innovativo, se non fosse che l’accostamento tra le immagini, le parole dello scrittore e le memorie di Naldini è talmente raffinato da rendere il documentario una delle opere che più si avvicinano a cogliere la sensibilità del Pasolini più privato ed enigmatico.

Il materiale selezionato privilegia gli anni vissuti passati a Casarsa, in Friuli, paese della madre e luogo di scoperta delle infinite sfumature della lingua dialettale parlata dai contadini del posto. Il racconto di Naldini è poetico e mai cede ai toni di chi rimpiange il passato: con il supporto delle parole di Pasolini, lette in voice over, si preferisce invece ricreare l’atmosfera di quei tempi, facendo sì che il documentario stesso sia testimonianza della vita, delle scelte e delle ragioni che stanno dentro e oltre i testi di uno dei più rivoluzionari scrittori del Novecento.

Dal rapporto con la madre alla scelta del dialetto come atto politico, passando per la critica alla borghesia e per il caso montato dalla stampa sulla sua omosessualità, ogni fase della sua vita è tratteggiata con precisione e affetto. Dall’insieme di questo materiale emergono le sfumature più umane e misteriose dell’uomo-Pasolini, dentro e al di là della maschera nella quale il suo ruolo da intellettuale e personaggio pubblico lo avevano costretto. Riascoltando quelle righe (dialettali e non), si potrà arrivare a comprendere quanto, a ottant’anni di distanza, quel ragazzo che nel ’40 scriveva poesie e pagine d’amore, rabbia e desiderio, sia ancora in grado di parlare di noi e al nostro cuore.

Continua…

Letizia Cilea
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