Cronache di un BL

“Mai abbastanza”: una storia di bellezza e insicurezza

Tempo di lettura: 5 minuti

Oggi voglio raccontare una storia che parte dal concetto di bellezza. Sì, quella estetica. Sì, proprio quell’argomento superficiale e raccapricciante che il Politically Correct in cui sguazziamo finge di rifiutare categoricamente. Lo so che state già tirando gli occhi all’insù.

Nell’ovattata ipocrisia della società in cui viviamo, quella della bellezza rimane infatti una questione affascinante e controversa. Se da un lato si cerca di aprirsi a nuove e, spesso, opinabili concezioni di fattori estetici, dall’altro lato troneggia un forzato elogio del brutto.

Ragion per cui tutti noi cresciamo in una bambagia di falsità, a colpi di Bello è ciò che piace, la bellezza è self-confidence, l’importante è essere belli dentro, la bellezza è soggettiva, e chi più ne ha più ne metta. Cresciamo nella convinzione che tutti lì fuori siano come la mamma e la nonna, e che possiamo essere gli scarrafoni di Pino Daniele un po’ per tutti.

Non devo essere io a dirvi che non è così, no? Ci sarete passati sicuramente anche voi, chi più chi meno.

Nessuno ci dice apertamente che, purtroppo, il fattore estetico conta nella vita. Molto. E che lì fuori la nonna te la sogni. Perché ad onor del vero, se non rientri in un canone per la società, per qualcuno o per chi per te conta, la verità ti viene sbattuta in faccia molto presto. E talvolta, da un minimo difetto fisico, anche insignificante, può nascere un duraturo sodalizio con l’insicurezza.

Oggi, dunque, a costo di farmi tacciare di superficialità, vi voglio raccontare una storia sulla bellezza e l’insicurezza: la mia storia, scritta a colpi di “mai abbastanza”. E  voglio raccontare di quanto il fattore estetico possa condizionare, inconsapevolmente, l’attitudine alla vita delle persone.

1. “Mai abbastanza bella”

La cameretta della casa in cui ho vissuto da ragazzina aveva un armadio a ponte sul mio letto. Ogni mattina, quando aprivo gli occhi, le prime cose che vedevo erano: un poster di High School Musical, una foto ricoperta di cuori di Zac Efron, un paio di foto di persone a me care e una serie di frasi scritte con penne colorate su fogli protocollo. Tra queste, ne spiccava una di Jane Austen, la scrittrice che ha tessuto i fili della mia adolescenza:

“Sembrare quasi bella è un piacere così squisito per una ragazza che ha avuto un aspetto scialbo per i primi quindici anni della sua vita, che una che è stata bella fin dalla culla non potrà mai provare”.

Questa frase è stata il mio motto per anni. L’ho ripetuta a me stessa in maniera ossessiva. Nonostante quel metro quadrato di letto a ponte fosse l’unico posto in cui mi sentissi davvero “a casa”, non ho mai potuto fare a meno di essere sempre lucida nei confronti della realtà. Ho infatti trascorso metà della mia crescita con una forte convinzione che non mi faceva stare bene: non ero bella, e ogni mattina dovevo alzarmi consapevole di ciò, al fine di poterlo accettare.

L’ho scoperto quando avevo all’incirca 12 anni e avevo appena iniziato le scuole medie. Si sa, i ragazzini a quest’età possono essere dei grandi bastardi: i miei coetanei dell’epoca ne sono i perfetti testimoni.

Avevo trascorso un’infanzia perfetta, amata da tutti: parenti, compagni di classe, e mai mi ero interrogata sul mio aspetto fisico, né su quello delle altre persone. Al mio ingresso nella scuola che mi ha rovinato l’esistenza – e di cui mi porto dietro ancora gli strascichi – ho scoperto la cattiveria e ho sbattuto contro la (presunta?) verità: non ero bella. Non ero come Martina o Francesca, e a Flavio non piacevo di certo. Non ero formosa, cominciavo ad avere i primi brufoli, e nel complesso ero ancora semplicemente una bambina, lontana da qualsiasi idea di donna in potenza.

Forse è per questo che mi chiedevano per quale motivo andassi nel bagno delle femmine: “quello dei maschi è a sinistra!” (risatina). Forse è per questo che iniziarono a chiamarmi Saro, o a organizzare feste e uscite in comitiva parlando in mia presenza, ma considerandomi trasparente. Non a caso, iniziai proprio a desiderare di essere trasparente. Non volevo essere guardata, volevo solo essere lasciata in pace.

Col senno di poi parlerei di bambinate e di bulletti. In fondo ero il bersaglio perfetto: appassionata lettrice, studiosa, per nulla interessata a mode e tendenze. Ma per me, che non avevo mai conosciuto la scortesia e la cattiveria, quelle persone erano solo sincere. Iniziai a paragonarmi alle ragazze che mi prendevano in giro e mi convinsi che avevano ragione. Non ero bella. Non lo sarei mai stata.

Così, come spesso succede, l’unica cosa che credevo mi mancasse divenne la mia ossessione.

Ma, cosa più importante, gli occhi di quelle persone sono diventati i miei.

Nonostante abbia incontrato esseri umani che hanno cercato di farmi capire che, obiettivamente, non c’è nulla che non vada nel mio aspetto estetico complessivo, non c’è nulla da fare: ogni mattina, quando mi guardo allo specchio, i miei occhi continuano a essere quelli di Martina, Francesca, Flavio, Giuseppe, Vincenzo.

2. “Mai abbastanza adatta”

Che importa? direte. Ma sì, in effetti, che importa? Sono stupidaggini, ci passano tutti.

Ci passano tutti per il rifiuto, la vergogna, il disagio di non sentirsi mai all’altezza, la sensazione di essere sbagliata, di avere qualcosa che non quadra, di non essere degni dello sguardo altrui. Ci passano tutti, forse è vero. Ma non tutti, purtroppo, riescono a reagire alla stessa maniera. L’adolescenza è un’età delicata: per me, la convinzione di non essere bella ha piantato il seme dell’insicurezza che mi scuote quotidianamente ancora oggi.

Il passo dal “non essere abbastanza bella” al non essere abbastanza in generale è stato infatti molto breve. Non sono abbastanza intelligente per, non sono abbastanza adatta a, non sono abbastanza carina per…e così via.

La mia paura più grande è diventata il giudizio altrui, e la mia arma l’autoironia. Se non ho qualcosa, meglio far capire alle persone che ne sono consapevole e che me ne sono resa conto prima di loro. Insomma: mi ferisco da sola, così non puoi farlo tu.

Mi sono innamorata per la prima volta a 15 anni. Uno strazio durato cinque anni, in cui questa persona mi confermò solamente che sì, gli piacevo, ma non abbastanza da…andare avanti. Fu la mia condanna: Mai abbastanza è diventata la mia parola d’ordine. Ha avuto indubbiamente i suoi risvolti positivi, se devo essere sincera: ci ho sempre messo tutta me stessa nel fare le cose, per dimostrarmi che forse, abbastanza, potevo esserlo anche io. Se non ero bella, potevo quantomeno far leva su una serie di solidi interessi e su un carattere diventato focoso per forza di cose. Ho avuto e sto avendo le mie soddisfazioni. Ma le vocine di tutte queste persone che ho incontrato echeggiano ancora, quotidianamente, nella mia testa.

E allora ritorniamo alla frase della mia cara Jane:

“Sembrare quasi bella è un piacere così squisito per una ragazza che ha avuto un aspetto scialbo per i primi quindici anni della sua vita, che una che è stata bella fin dalla culla non potrà mai provare.”

Ho 25 anni e gli occhi con cui mi guardo e con cui giudico le mie azioni sono ancora quelli delle persone che mi hanno ferita. Eppure, tante volte mi sono sentita dire di essere una falsa modesta, perché pur non piacendomi, ho spesso teso banalmente a fotografarmi. Ho sempre avuto difficoltà a far capire alle persone che non ho mai cercato di attirare apprezzamenti  (e che, anzi, la cosa mi arreca solamente disturbo). Però, quando mi sento bella, quando per un momento le retine di Martina, Francesca & co. ritornano le mie e solo le mie, ho bisogno di immortalare quel momento. Per me. Per dire a me stessa e convincermi che anche io posso essere abbastanza. E sinceramente, non me ne faccio una colpa.

Non fatevene una colpa: l’insicurezza a volte spinge a volersi piacere. Fin quando queste incertezze non ci fanno ammalare, conducendo a modificarci artificialmente i connotati, volersi piacere è balsamico. Parlo a nome di chi è cresciuto nella convinzione di essere invisibile: sentirsi belli, a volte, fa proprio bene al cuore. E se il mondo vi storce il naso, non state al suo gioco ipocrita: I’m on the right track baby, I was born this way.

Sara Maietta
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Sara Maietta
Una vita ascrivibile all'ABCD: aspirante curatrice, bookalcoholic, catalizzatore di dissenso e dadaista senza speranze.