Doisneau a Bologna
Le basier de l’Hotel de Ville, Paris 1950
Fotografia

Umanismo e imperfetti: Robert Doisneau a Bologna

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Sospesa poco dopo la sua apertura a marzo a causa dell’emergenza Covid-19, è stata riaperta presso Palazzo Pallavicini a Bologna la mostra dedicata al fotografo Robert Doisneau, a cura dell’Atelier Doisneau (Montrouge, Fr).

La retrospettiva, che consiste in una serie di 143 immagini, è il risultato di una selezione operata dalle figlie dell’artista, Francine Deroudille e Annette Doisneau, tra i 450.000 negativi prodotti dal fotografo in circa 60 anni di carriera.

Dopo il periodo di isolamento dal quale siamo reduci, le foto di Robert Doisneau ci regalano una ventata di leggerezza e uno sguardo ironico sulla realtà.

Un fotografo umanista

Soggetto protagonista di queste opere è la Parigi del secondo dopoguerra nella quale Doisneau si immerge ritraendo i sobborghi delle  periferie, le fabbriche, i negozi , ma anche bambini che giocano per strada, gente comune nell’orario di lavoro e la guerra dalla parte della Resistenza, oltre che svariati artisti e celebrità dell’epoca come Picasso, Simone de Beauvoir e Jacques Prévert.

Simone de Beauvoir au Deux Magots, Paris 1944

Sulla scia della fotografia di André Kertész, Eugène Atget e Henri Cartier-Bresson, Doisneau si propone di presentare “le meraviglie della vita quotidiana”, attimi di ordinarietà che egli considerava aventi poco a che fare con la realtà circostante ma “infinitamente più interessanti”. I momenti colti dall’obiettivo dell’autore appaiono eterni, immutabili nella loro atmosfera nostalgica, catturati dalla  sensibilità visiva dell’artista che pone l’accento sulla fragilità umana e sulla semplicità.

Come nel noto scatto “Le basier de l’Hotel de Ville” (Parigi, 1950), l’artista evidenzia la necessità e forse l’urgenza di condividere uno sguardo del mondo in cui pervade l’illusione di una tenerezza che forse può aiutarci a sopportare il reale.

Le basier de l’Hotel de Ville, Paris 1950

Con il desiderio di non lasciarsi sfuggire quegli attimi irripetibili di quotidianità, Doisneau tenta di creare un’atmosfera nuova, leggera, lontana dalle atrocità della guerra che al tempo apparivano ancora troppo vive.

L’artista opera come un “pêcheur d’images”, ricavando i suoi scatti da una completa e disinteressata immersione nella realtà quotidiana, attraverso la quale cattura momenti di ordinaria imperfezione valorizzandoli e rendendoli eterni, umani.

Con uno sguardo semplice e curioso sulla realtà, Doisneau poeticizza l’ordinario, trasformando i protagonisti delle sue foto in icone spontanee, capaci di trasmettere una spensieratezza e tenerezza che va al di là della mera rappresentazione del reale.

Come infatti ha affermato, “nessun regista cinematografico sarebbe capace di comunicare l’inatteso che si incontra per le strade”: c’è qualcosa di non-ordinario nel quotidiano che rende la vita più interessante.

Contrario alla costruzione della realtà da fotografare, Doisneau con i suoi scatti voleva dimostrare che “il mondo che ha visto esiste”, con l’innocenza di un bambino e la speranza in “un mondo in cui le persone siano gentili”, dove si possa trovare la tenerezza che egli sperava di ricevere.

Doisneau a Bologna
L’information scolaire, Paris 1956

“À l’imparfait de l’objectif”

“È sempre all’imperfetto dell’obiettivo/ che coniughi il verbo fotografare.” (Jacques Prévert)

Il poeta Jacques Prévert descrive l’opera dell’amico Doisneau, sottolineando la sua volontà di ritrarre momenti di “non-perfetto”, di non concluso, di sospensione. Attimi colti nello scorrere, in un tempo non definito, sono elevati ad una dimensione di eternità e diventano specchio di un’umanità che non appartiene esclusivamente a quell’epoca.

I soggetti dell’artista sono spesso coloro che “di solito non stanno sotto i riflettori”, ma che sono capaci di trasmettere la massima autenticità e trasparenza delle emozioni umane.

Gli scatti di Doisneau ci offrono scorci di imprevedibilità e a volte di stravaganza che fanno apparire la quotidianità più insolita e interessante di quanto sembri. Dalle sue immagini affiora un velo di nostalgia per una tenerezza persa, per una gentilezza e una semplicità che, con la sensibilità e  innocenza simile a quella di un bambino, l’artista cercava nel mondo.

L’actrice Sabine Azema dans le jardins du Musée Carnavalet, Paris 1985

 

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Irene Ferigo

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