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Cibo e letteratura: a cena con Proust, Boccaccio e Steinbeck

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Fonte di energia e soprattutto di felicità, l’atto di mangiare ha occupato un posto speciale anche nei cuori dei più grandi della letteratura, i quali non hanno potuto fare a meno di inserirlo – in alcuni casi con tanto di aggiunta di valori simbolici – all’interno dei loro scritti. Perché si sa, non c’è niente di meglio del cibo. Se non forse parlare di cibo!

Una coscia di meno

Passando in rassegna alcuni dei più importanti scrittori nostri concittadini non possiamo non citare Boccaccio. Il cibo è elemento ricorrente nel Decameron, e la novella più conosciuta e acclamata in materia è la quarta della sesta giornata: “Chichibio e La Gru”. Il protagonista, Chichibio, cuoco di professione, cede alle suppliche dell’amata Brunetta, la quale lo implora di donarle una delle succulenti cosce della gru che il giovane è intento a preparare per il suo signore. Qui il cibo diventa elemento passionale, un vero e proprio mezzo di seduzione che al giorno d’oggi potremmo tradurre con il famoso detto “prendere per la gola”.

Mi passi un po’ di salsa?

Analizzando un capolavoro più moderno, ma altrettanto geniale, in “Uomini e Topi” di John Steinbeck il cibo diventa desiderio di una vita migliore, un’utopia carica di speranza e di aspettative per il futuro. Ambientato nel periodo della Grande Depressione, i due protagonisti George e Lennie, senza un soldo in tasca, passano le loro giornate spaccandosi la schiena trasportando pesanti sacchi d’orzo. In uno dei loro tanti dialoghi, Lennie esprime il desiderio di avere della salsa con cui mangiare le sue fave. E sebbene di salsa in quel momento non ce ne fosse, ciò che tiene in vita i due personaggi è immaginare un futuro in cui ne avranno a volontà.

Un memorabile dessert

Dulcis in fundo, l’indimenticabile – nel vero senso della parola – madeleine di Proust: nel suo mastodontico capolavoro in sette volumi “Alla ricerca del tempo perduto”, l’autore si interroga sulla memoria e sull’impossibilità dell’uomo di conservare al suo interno ogni singolo momento vissuto. Ed è proprio una petite madeleine, servita con del profumato tè, a risvegliare in Proust il ricordo della sua infanzia, in particolare, le estati passate a Combray presso la zia Léonie. Il cibo qui assume un significato profondo: il senso del gusto diventa intermediario di passato e presente, collega le due sfere temporali e pervade l’autore di una sensazione unica che lo fa sentire immortale.

Si dice che il cibo parli e, nel caso della letteratura, non può che essere vero. Gli scrittori lo usano per comunicare, per farci avvicinare a ciò che scrivono ed immedesimarci nella quotidianità dei personaggi… quasi come se stessimo mangiando in loro compagnia!

Chiara Cogliati

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Chiara Cogliati
Da un anno vive a Venezia dove studia, ogni tanto si rintana leggendo e ogni tanto pensando, anzi spesso, serve per fare tutto il resto. Le piace ascoltare, le riesce meglio che parlare, ma per fortuna sa anche scrivere, un pochino, e allora quello che vorrebbe dire a parole lo scrive, così si diverte.