A luci spente
Cronache di un BL

A luci spente – Il mio appuntamento Borderlain

Tempo di lettura: 4 minuti

Quando poggio la mia mano sul corpo di un’altra donna, tutto il rimpianto della tua carne mi sale alle labbra
A. Camus, Caligola

 

A luci spente – Il mio appuntamento Borderlain

Giugno 2019

La Matiz stava riuscendo a mantenere dignitosamente i 90 km/h sull’autostrada A3. Sapevo bene che non avrei potuto chiederle uno sforzo maggiore. In quel giugno non poi così caldo, il sole, proprio quel giorno, aveva deciso di dare il meglio di sé. La temperatura segnava i 33 gradi ed io ero prigioniero in quell’inferno di lamiere nere.
In giacca e camicia.
Senza aria condizionata.
Io a quest’incontro manco ci volevo andare.

Appena pagato il casello autostradale una fila chilometrica di macchine mi si parò davanti. Non riuscirò mai ad arrivare in orario all’appuntamento, pensai mentre portavo compulsivamente alle labbra la sigaretta elettronica. Nemmeno la vista spettacolare della costiera sorrentina, che si estendeva a perdita d’occhio sulla mia destra, riusciva a tranquillizzarmi.

Avevo smesso di fumare da due settimane. In quel momento desiderai ardentemente accendermi una sigaretta della mia marca preferita, osservarne il fumo, giocare con la cenere che mi sarebbe caduta sui pantaloni e godermi quei sette minuti – una volta li avevo contati – sospeso nel vuoto.

Il rumore di un clacson mi riportò alla realtà. Mancava ancora mezz’ora alla mia destinazione e avevo già cumulato venti minuti di ritardo. Ci vediamo nella piazza principale. Indosserò un vestito rosso. Questo l’ultimo messaggio di Vivian.

La piazza centrale di Sorrento era gremita. Appena arrivato ebbi come l’impressione che, quel giorno, tutte le donne parevano aver deciso d’indossare un vestito rosso. La miopia, poi, non aiutava. Ero nervoso. Poi un messaggio: sei tu quel ragazzo in giacca e camicia? Le risposi di sì. Come non dare nell’occhio, dopotutto, vestito così con più di trenta gradi, a giugno?

Poi la vidi e, all’improvviso, la mia mente smise di maledire il traffico, l’astinenza da fumo e tutte le cose che nella vita mi sono andate male. Vivian era meravigliosa.

Presentazioni, scambi di battute e propositi per la serata si consumarono nell’arco di cinque minuti. Vivian era australiana ma di origini greche. Le buttai lì qualche parola in greco antico, reminiscenze liceali. Cercavo di far colpo. Lei non capì. Io nemmeno.

Dopo aver scelto frettolosamente il ristorante in cui cenare, ci accomodammo ad un tavolo appartato. Vivian mi parlava dei suoi libri, delle sue passioni, dell’Australia. Io accompagnavo le sue parole con movimenti della testa cadenzati. Avrei potuto ascoltarla per ore. Il suo modo di parlare era veloce e regolare.

Dopo aver pagato il conto, gustato un ottimo gelato ed aver rischiato una crisi diplomatica a causa del mio inglese, Vivian mi chiese se mi andasse di procedere con l’intervista al bar dell’hotel dove soggiornava. Accettai volentieri.

Ciò che non riuscii ad intuire subito fu che, da lì a poco, quello che sarebbe dovuto essere un semplice incontro di lavoro si sarebbe trasformato nella notte più strana della mia vita.

Arrivati nella hall Vivian mi disse che aveva l’esigenza di caricare il suo cellulare, pregandomi di seguirla nella sua stanza. La seguii a passo svelto, un po’ timoroso. Almeno avrò la possibilità di utilizzare il bagno.

E fu proprio ciò che feci.

– Ti dispiace se registro la nostra intervista? Sai, ho una pessima memoria – le chiesi.

Non ricevetti alcuna risposta. Decisi allora di addentrarmi nella zona notte.

Vivian era stesa sul letto. Il vestito rosso aveva lasciato il posto ad un completino bordeaux. Accanto a lei un paio di manette rosa e un sex toy giallo e blu.
Sembra lo scettro di Sailor Moon. Mo’ si trasforma, fu tutto ciò che la mia mente annebbiata riuscì a pensare in quel momento.
Né l’italiano, né l’inglese, né il greco sarebbero serviti in quel momento per svelare le intenzioni di Vivian. Con un cenno della mano mi invitò a stendermi accanto a lei. Camminai verso il letto quasi senza accorgermene.

E fu un conoscerci a luci spente.

La volgarità è tale solo quando è forzata. Ma in ciò che stava succedendo non vi era, ai miei occhi, nulla di più naturale. Vivian mi fermò per un istante, si alzò e andò ad aprire il balcone. Voleva ci guardassero. – È giusto così – si giustificò.
È giusto così, ripetei nella mente. E forse non c’era nulla di più vero.

Poi accadde qualcosa.

Mentre Vivian mi stava concedendo baci che nascondevano le voluttà più segrete, mi accorsi che ansimava.
Non riusciva a respirare.
Se c’è una cosa che Siamo fatti così mi ha insegnato, è che in caso di urgenza medica la tempestività gioca un ruolo fondamentale.

Vivian era in preda ad una crisi d’asma. Mentre stavamo facendo sesso.

Con uno scatto che di felino aveva ben poco, raggiunsi la giacca al cui interno avevo riposto Ventolin e Bentelan, i due farmaci che non devono mai mancare nel guardaroba del perfetto asmatico.

Le portai l’inalatore alla bocca. Vivian intese che stessi cercando di fare un qualche giochetto strano, ma ti pare?, mi sorrise e lo allontanò. Andai allora sulla pagina di Wikipedia riguardante il farmaco, impostai la lingua inglese e glielo feci leggere. Si convinse. Sembrava quasi dispiaciuta.
Dopo aver risolto l’urgenza, riprendemmo da dove eravamo stati costretti ad interrompere.

Eppure, non fu questo ciò che mi fece pensare che stessi vivendo la notte più strana della mia vita.

Sudati e sfiniti, ci mettemmo sotto alle coperte. Vivian mi baciava il collo con stanca ostinazione, fin quando il suo respiro non si fece più pesante. Si era addormentata. Mi girai a guardarla.
Possono due labbra giustificare un’esistenza? L’unica risposta che mi venne in mente, la più naturale, fu di sì.

Mi addormentai anch’io. Sognai canguri e immense distese.
Ero felice. Una felicità semplice e banale, la più genuina.

Sono passati cinque mesi da quell’incontro. Per due settimane ho faticato a dormire. Non ricordavo su quale lato dormire da quando avevo diviso il letto con Vivian.
Una volta al mese la misteriosa ragazza australiana mi chiede di raggiungerla ad Adelaide, dove vive con la nonna.
Una volta al mese posticipo l’incontro.

Ora dormo sereno.
A volte sogno ancora distese immense e canguri.

Ora dormo sereno.
Eppure baratterei queste notti serene con delle notti tormentate con Vivian. Fatte di sesso, asma e qualcosa che non riesco ancora a spiegarmi. Perché forse, se cerchiamo l’amore, dovremmo scavare in ciò che si concede a chi non si conosce. Un gesto di estrema fiducia.

Ora dormo sereno.
Eppure non mi  basta più.

Giuseppe De Filippis

 

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Giuseppe De Filippis
Studente di scienze politiche, vive a Napoli. L’attualità è l’amorevole moglie che lo fa sentire al sicuro, la letteratura la sua amante capricciosa. Inesorabilmente devoto alla poesia e all’orrido non necessariamente in quest’ordine. Ha un dattiloscritto nel cassetto. Ha da poco capito che il cassetto è se stesso.