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Società

Silvia Romano, quando sopravvivere diventa una colpa

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Quando in Italia è arrivata la notizia della liberazione di Silvia Romano non potevamo sapere a cosa avremmo dovuto assistere di lì a poche ore. Dopo le immagini dell’atterraggio, l’abbraccio con la famiglia e la gioia stampata sul volto di chi si butta alle spalle 18 mesi di prigionia, si è scatenato l’inferno social.

Quello che avrebbe dovuto essere un momento di gioia per un Paese in sofferenza si è trasformato in una valanga di odio, di illazioni, di speculazioni e cattiverie. La solita cagnara da tastiera, che questa volta, però, si è reinventata vera e propria lapidazione. Commentare la pochezza e la meschinità di posizioni ingiuriose, offensive e lesive quanto arbitrarie, questa volta, è più avvilente che mai.

Una storia sbagliata

Silvia Romano è una (oggi) 25enne milanese, partita volontaria due anni fa per una (seconda) missione in Africa, dopo essersi laureata in mediazione linguistica con una tesi sulla tratta degli degli esseri umani. Partita per collaborare a un progetto dell’associazione Africa Milele Onlus: la costruzione di un orfanotrofio. Partita per assistere i più bisognosi, partita per assistere dei bambini. Silvia è, insomma, un fiore tra i più belli dell’Italia che viviamo.

E poi il rapimento, 18 mesi di prigionia, la sofferenza, la liberazione, il ritorno, l’abbraccio della famiglia.

Ecco, chiunque dica di avere una coscienza, in un momento del genere,  dovrebbe gioire, commuoversi o, al massimo, tacere. Credo che il non concordare su questo renda discutibile la stessa supponenza di superiorità che si attribuisce all’essere umano.

Invece, non è andata così.

La gogna

Un diluvio di insulti è piovuto sulla giovane. Di insulti, di falsità e di minacce.

Si sono inventati che fosse sposata con uno dei rapitori, che fosse incinta, che la conversione all’islam la renderebbe una traditrice, che gli abiti che portava all’arrivo rappresentino organizzazioni terroristiche, si sono inventati che si è pagato un riscatto e che quel riscatto servisse, oggi, a più urgenti e necessari utilizzi. Più urgenti e necessari che salvare la vita.

Si sono inventati, dico, perché nessuna di queste notizie è stata confermata da nessuna fonte che abbia uno straccio di attendibilità. Si sono inventati, dico, perché a diffondere queste menzogne sono stati personaggi politici, testate giornalistiche (?), teatranti vari. A ben vedere, però, da dove sia partita la vergognosa valanga conta poco, chi la avalla ne è ugualmente autore e complice.  Il profilo facebook di Silvia Romano è, ora, oscurato, non più rintracciabile sulla piattaforma, a causa di minacce e insulti.

La vergogna

Se convertita […] va arrestata per concorso esterno in associazione di stampo terroristico“, ha scritto Vittorio Sgarbi, deputato. Anche se cambiare credo religioso non è un reato; anche se, al contrario, lo è la diffamazione. Tale Pagano, deputato leghista, in Parlamento,  l’ha definita “neo-terrorista”, senza nessun raziocinio, senza nessuna vergogna. Un consigliere, sempre leghista, di Treviso, il cui nome faremmo bene a riporlo nell’insignificanza dalla quale è emerso, ha invece semplicemente pubblicato un post con scritto “Impiccatela!”. La giustizia stabilirà se e quali reati siano stati consumati in questa vicenda, e quali gli autori.

La Procura di Milano, infatti, ha aperto un indagine sull’ipotesi di minaccia aggravata, per il momento contro ignoti. Anche lettere e volantini, apparsi nei dintorni della residenza della ragazza, sono al vaglio dei pm. Come se non bastasse pare si stia valutando l’opportunità di concedere misure di protezione, nonostante il palazzo di residenza sia già sotto la sorveglianza delle forze dell’ordine. Contro lo stesso, infatti, pare essersi infranta una bottiglia di vetro, i cui cocci si sono rinvenuti sul davanzale della finestra sottostante quella della famiglia Romano, dalla quale Silvia si era affacciata al rientro a casa. Non si sa ancora se o chi abbia potuto scagliarla, e a che fine. Sta indagando la polizia scientifica.

Non è finita

La famiglia chiede pace, una tregua dalle angosce e dalle sofferenze.  Silvia Romano, d’altronde, non è un personaggio pubblico, Silvia Romano è solo una ragazza che è stata rapita mentre provava a fare del bene.

E no, non sono i soldi del presunto riscatto il problema, non sono le sue credenze religiose e non sarebbe o sarebbe stato nemmeno l’aspettare un bambino. Il problema è che abbiamo visto tornare da una delle esperienze più atroci che si possono vivere una donna viva, sorridente e commossa.
Se mai te lo stessi chiedendo, Silvia, è perché, mostrando la meraviglia di un sorriso sopravvissuto a un’esperienza terribile, hai spiattellato in faccia a orde di imbecilli la pochezza delle loro lagne. È solo per questo che ora sei costretta a non uscire di casa, se non sotto sorveglianza, nel Paese che è casa tua più di quanto lo sia di quelli che ti odiano. Quelli che da giorni cercano incessantemente una colpa da attribuirti, per vedere spento quel sorriso, perché il fallimento altrui rincuora gli inetti.

“Ci vuole sempre qualcuno da odiare per sentirsi giustificati nella propria miseria” ha scritto Umberto Eco, sintetizzando al meglio un pensiero, ai più, indomabile.

È per questo, Silvia, che la tua prigionia non è ancora finita.

Enzo Panizio
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