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Società

Razzismo e calcio: concetti opposti della vita che non possono convivere

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Gli atti di razzismo negli stadi iniziano a diventare una routine e troppo raramente si prendono provvedimenti

Quando si pensa al calcio i sentimenti che emergono sono diversi. C’è l’agonismo, c’è la fede per una squadra, c’è la passione per il campo e per i profumi dello stadio. A questi da tempo si è aggiunto il razzismo.

Una partita di calci è un momento magico nel quale si assiste ad uno spettacolo. Perché di questo si tratta: una partita è uno spettacolo con ventidue attori che per 90 minuti devono provare a fare goal entusiasmando il loro pubblico. Come uno spettacolo si paga un biglietto, si paga l’atmosfera della quale il tifoso non potrebbe fare a meno. 

Dovrebbe essere così: un momento nel quale godere della bravura dei giocatori. Troppo spesso però negli stadi entra il razziamo, entra l’odio, entra una violenza verbale che squarcia il clima festoso con cui si dovrebbe vivere il calcio. Così una partita diventa ricettacolo di slogan, epiteti, insulti provenienti dalle più basse viscere dell’essere umano. Scenario di un razzismo vigliacco stimolato dalla sicurezza di non essere riconosciuti.
All’arrivo del weekend non si pensa solo a godere degli eventi sportivi che coinvolgono le quadre del cuore, le città, i ricordi d’infanzia. Si pensa alla paura di essere testimoni dell’ennesimo insulto, di vedere un’altra banana cadere in campo sfregiando un momento di gioco e di divertimento.  Forse è anche per questo che allo stadio si vedono sempre meno bambini. Chi porterebbe il proprio figlio in un luogo dove è sempre più frequente vedere atti di razzismo.

Nello sport si parla di fair play nel rapporto fra atleti. Forse bisognerebbe iniziare a pensare che anche lo spettatore deve tenere un comportamento idoneo. Un comportamento che tenga conto dei valori trasmessi dallo sport. Probabilmente è giunto il momento di punire chi porta nello sport un bieco disvalore come quello del razzismo.

Questo però è compito dei direttori sportivi, degli arbitri, dei giocatori e dei club. Lo spettacolo deve finire al primo insulto. E non importa se a pagare è tutto lo stadio: l’educazione e il rispetto dei valori su cui si fonda il nostro Paese è cento volte più importante di qualunque partita. Non deve esistere la remora per chi tiene un comportamento corretto. Se qualcuno compie un atto d’odio il gioco deve finire all’istante tutelando le vittime.

Se il calcio è un sogno, se disturbati bisogna svegliarsi facendo prevalere le regole di convivenza. I meccanismi di classifica possono aspettare.

Federico Feliziani

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Federico Feliziani
Autore e scrittore di prosa e poesie, blogger e consigliere comunale a Sasso Marconi, è da circa un decennio politicamente attivo e dedito alla causa contro le violazioni dei diritti umani. Considera la propria disabilità un’amica e compagna di vita con cui crescere e mantenere un dialogo costante.