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Politica

SPECIALE QUIRINALE – Chi sarà il prossimo inquilino?

Tempo di lettura: 5 minuti

Ci siamo quasi. A tre giorni dalla prima votazione per il prossimo Presidente della Repubblica la politica non parla d’altro. È un bene? Non lo so ma è un fatto il pullulare di nomi quirinabili espressi dai partiti; ecco perché abbiamo scelto di concentrarci solo sul Quirinale in questa puntata de la settimana politica.

Al Colle più alto ci si candida? No, si viene eletti

Prima di addentrarci fra i nomi possibili per il prossimo Presidente della Repubblica, permettetemi di fare una precisazione prima che abbia una crisi di nervi. Da mesi sentiamo parlare di “candidature al Quirinale”: nulla di più sbagliato e fuorviante. Non esiste infatti nessuna candidatura alla presidenza della repubblica.

La Costituzione dice che può essere eletto Presidente un cittadino con più di cinquant’anni. Sono i grandi elettori a eleggere, scrivendo più volte lo stesso nome sulla scheda, il Capo dello Stato. Non esiste una lista né tantomeno un vincolo di mandato. Sono dunque i partiti a dover essere capaci di coordinare deputati, senatori e delegati regionali alfine di arrivare a un nome che conquisti o 672 voti nei primi tre scrutini o almeno 505 schede dal quarto.

Paradossalmente potrebbe essere eletto anche un Giuseppe Garibaldi come accade nel film “Benvenuto Presidente”. Ecco perché ad esempio, attendere lo scioglimento della riserva di Silvio Berlusconi, è un tragico giochino del Centrodestra che invece dovrebbe decidere se indicarlo o meno al momento del voto. Ma al Cavaliere ci arriviamo con calma.

Chi sono dunque i quirinabili sulla bocca di tutti?

Parliamo dei quirinabili i cui nomi li sentiremo probabilmente leggere da Roberto Fico durante i diversi spogli.

Mario Draghi: il “nonno a servizio delle istituzioni” che sta mettendo letteralmente in crisi la politica e non solo. È indubbia la sua compatibilità con il ruolo di Presidente della Repubblica ma certo sarebbe un inedito nella storia della Repubblica. Solitamente infatti i capi dello Stato sono personalità defilate in grado di diventare super partes in poco tempo, ovvero in quel frangente che passa dalla proclamazione al discorso davanti ai grandi elettori.

Mario Draghi questo tempo non ce l’avrebbe perché verrebbe eletto al Collo nel momento in cui è l’inquilino di Palazzo Chigi: il ruolo più divisivo e meno super partes in assoluto. È vero che percepiamo Draghi come corpo esterno al sistema politico ma poco importa rispetto all’anno trascorso alla guida del governo. 

Se fosse eletto Presidente della Repubblica Draghi traslocherebbe al Quirinale assumendo il compito di formare un nuovo governo; nuovo esecutivo che dovrebbe affrontare dossier che lui ha impostato su cui, è facile immaginare, Draghi voglia esprimersi. Saremmo dunque nei pressi di un presidenzialismo di fatto con un governo plausibilmente guidato dal Colle.

Qualcuno se lo augura; potrebbe essere invece un brutto spettacolo considerando come, di ultracinquantenni adatti al Quirinale, la politica ne abbia diversi. Eleggere quello che ci porterebbe su una strada più impervia e inesplorata non è la migliore strategia possibile. Anche per le stesse forze politiche che da una crisi di governo potrebbero trovarsi a camere sciolte.

Sergio Mattarella: il Presidente della Repubblica uscente che ha più volte espresso l’indisponibilità a un secondo mandato. Se qualcuno non l’avesse capito Mattarella ha anche fatto trapelare la notizia secondo cui avrebbe già sottoscritto un contratto d’affitto per un appartamento nel centro di Roma.
Nonostante i diversi e solenni tentativi di Sergio Mattarella per uscire di scena i partiti tengono caldo il suo nome come possibile via d’uscita se non si dovesse trovare un nome su cui convergere. 

Anche questa eventualità ci farebbe assistere a un brutto spettacolo: significherebbe infatti come la politica sia incapace di esprimere un nome nonostante l’elezione del Presidente della Repubblica fosse in programma da sette anni. Questa impreparazione non può che essere un’indicatore della qualità della classe politica attuale che paga la liquefazione dei partiti e l’inadeguatezza dei leader.

Silvio Berlusconi: il quirinabile più borderline di tutti

Silvio Berlusconi è il secondo indicatore di una classe politica alla deriva schettinamente guidata. 

Immaginare come Silvio Berlusconi possa avere le caratteristiche del Presidente della Repubblica ci dà la misura del momento politico in cui ci troviamo. Un’area politica di ragguardevole peso nella paarrtita del Quirinale, il Centrodestra, non riesce ad accantonare un’ipotesi adatta solo a un romanzo o a un film.
È bastato nominare Silvio Berlusconi come possibile Presidente della Repubblica per fare un salto nel tempo di almeno dieci anni facendo riemergere gli scandali, i conflitti d’interesse e la scarsa reputazione internazionale del leader di Forza Italia.
Silvio Berlusconi è divisivo per definizione, basti guardare al dibattito di queste settimane che ha riacceso le stesse dinamiche che in auge quando il Cavaliere era a Palazzo Chigi. Stiamo pur sempre parlando di un leader di partito il che sarebbe un’altra anomalia minando il concetto di imparzialità.

Per non parlare poi del profilo diversamente etico tipico di Silvio Berlusconi il quale ha una carriera giudiziaria piena di processi, alcune condanne, alcune prescrizioni e alcuni procedimenti tutt’ora in corso. Se dovesse essere eletto Presidente della Repubblica l’Italia potrebbe vincere ad honorem il Guinness dei primati del conflitto d’interesse: avremmo infatti il Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura chiamato a comparire nelle aule di tribunale per essere giudicato da chi lui potrebbe facilmente guidare.
Silvio Berlusconi Presidente della Repubblica si commenta quindi da sé, non serve andare oltre. Colpisce come Salvini e Meloni facciano i San Bernardo fuori dall’uscio aspettando che il cavaliere gli dica se è in campo o meno. 

Una donna Presidente della Repubblica? 

Oltre a questi tre nomi pesanti sul tappeto ci sono anche quelli di Marta Cartabria, attuale guardasigilli, e Maria Elisabetta Alberti Casellati attuale presidente del Senato. È già un passo avanti rispetto a quando i leader sostenevano la necessità di una donna al Quirinale senza né tratteggiarne un profilo e né accennare a qualche nome.

Sento già la replica delle femministe del ventunesimo secolo; me lo dico da solo. Rispetto ai nomi maschili non pretendiamo molto spesso tutta questa precisione. Sbagliamo in ambe due i sensi: anche quando menzioniamo un nome maschile sarebbe buona norma esplicitare i motivi per i quali potrebbe essere eletto al Quirinale. Non penso che una Giuseppina Garibaldi, benchè donna, sarebbe accolta senza stupore. Perché comunque la si pensi per essere Presidente della Repubblica servono caratteristiche che valgono sia per gli uomini sia per le donne. 

Più politicamente però l’elezione di una donna al Quirinale non può avvenire per caso: è un passaggio storico che alle spalle deve avere una scelta. Possiamo discutere su quanto sia poco giusto, tuttavia la confusione e la debolezza politica di questi tempi non possono produrre una rivoluzione. Se accadesse faticherebbero a spiegarselo anche i grandi elettori.

L’outsider silenzioso molto spesso è quello che vince. Perché non Pier Ferdinando Casini?

Molti altri nomi stanno circolando: Amato, Frattini, Tremonti ma uno risulta meno citato quasi lo si voglia preservare dal cannoneggiamento. Questo nome è quello di Pier Ferdinando Casini, il politico che conosce il Centro meglio del suo bagno di casa e che, in questa area politica, sguazza ancora come un pesce nella boccia. 

Se riflettiamo bene Pier Ferdinando Casini potrebbe essere il nome capace di appagare gli ego astronomici dei leader. Casini è stato eletto con il Partito Democratico di Matteo Renzi, proviene dall’UDC con un’anima fortemente radicata nel Centrodestra con un legame profondo con Forza Italia. Con un sol nome sarebbe accontentato Enrico Letta che non potrebbe negargli l’appoggio, Renzi che vedrebbe al Colle la cultura centrista, Berlusconi che potrebbe affermare di avere contribuito all’elezione di un Presidente non ostile alla sua area, Salvini e Meloni che potrebbero esultare nell’avere al Colle una figura su cui poter fare affidamento.
E i Cinque Stelle? Pier Ferdinando Casini potrebbe ammaliare anche loro facendo leva sul carattere moderato di Di Maio che al Centro sembra essersi avvicinato molto. 

Insomma, nel grande toto nomi sul Presidente della Repubblica perché non puntare su Casini? Potrebbe essere proprio lui il nome che consentirebbe a Draghi di rimanere a Palazzo Chigi e ai leader di compiacersi della soluzione trovata. 

Federico Feliziani
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Federico Feliziani
Autore e scrittore di prosa e poesie, blogger e consigliere comunale a Sasso Marconi, è da circa un decennio politicamente attivo e dedito alla causa contro le violazioni dei diritti umani. Considera la propria disabilità un’amica e compagna di vita con cui crescere e mantenere un dialogo costante.