Lo sposo segretario
Racconti Brevi

Lo sposo segretario, ovvero: come ho imparato a morire (per non rinascere)

Tempo di lettura: 3 minuti

Lo sposo segretario, ovvero: come ho imparato a morire (per non rinascere)

Mi sveglio alle prime luci del mattino.
Un caffè amaro è tutto ciò che il mio stomaco vedrà fino al momento del pranzo.
Doccia tiepida.
Scelta degli abiti, sempre gli stessi.
Aspetto il bus, è in orario.

Ufficio.
Il pc non si accende. Carta e penna.
Sposta l’appuntamento delle 12 alle 16. Quello delle 16 alle 19. Quello delle 19 cancellalo. Il cliente è morto.
Sbadiglio ed eseguo.

Pausa caffè.
Saluto i colleghi.
Sto bene, e tu? Ho preso un cane, e tu? Mia moglie mi ha lasciato, e tu?
Fumo una sigaretta.
Torno alla scrivania.

Pranzo.
Ordino un sandwich.
Fumo una sigaretta.
Torno alla scrivania.
Chiudo gli occhi, solo un po’.
Mi addormento.

Sogno la scelta del tuo abito.
Non dovresti vedermi fin quando non ho finito, mi dici,
ma sai bene che non vederti,
per me,
è rendermi cieco
fin quando non hai finito.

Mi sveglio.
Fisso tre appuntamenti e faccio settantadue fotocopie.
Fine del turno.

 

Mi sveglio alle prime luci del mattino.
Un cappuccino è tutto ciò che il mio stomaco vedrà fino al momento del pranzo.
Doccia fredda.
Scelta degli abiti, da dove salta fuori questa cravatta rossa? La indosso.
Aspetto il bus, è in orario.

Ufficio.
Il pc si accende e inizia ad installare gli aggiornamenti di sistema. Carta e penna.
Sposta l’appuntamento delle 11 alle 13. Quello delle 13 alle 15. Quello delle 15 cancellalo. Il cliente è scomparso.
Sbadiglio ed eseguo.

Pausa caffè.
Saluto i colleghi.
Ho una macchia sulla cravatta, e tu? Ho parcheggiato in doppia fila, e tu? Il mio cane abbaia di notte, e tu?
Fumo una sigaretta.
Torno alla scrivania.

Pranzo.
Ordino un trancio di pizza.
Fumo una sigaretta.
Chiudo gli occhi, solo un po’.
Mi addormento.

Sogno le tue lacrime.
Credi che non sappia che la colpa è solo mia?
Sogno le tue lacrime. Sei girata di lato.
Nascondi il viso nel cuscino.
Il tuo singhiozzo è dialogo.
Non è nulla, mi dici.
Ma il nulla è tutto
in questo letto disfatto.

Mi sveglio.
Fisso sette appuntamenti e termino il lavoro arretrato.
Fine del turno.

 

Mi sveglio alle prime luci del mattino.
Un bicchiere d’acqua è tutto ciò che il mio stomaco vedrà fino al momento del pranzo.
Doccia calda.
Scelta degli abiti, il tuo vestito da sposa è ancora nel mio armadio. Lo indosso.
Aspetto il bus, è in orario.

Ufficio.
Non accendo il pc.
Sposta l’appuntamento delle 8 alle 10. Quello delle 10 alle 12. Quello delle 12… lascia stare. Ti senti bene?
Sorrido e taccio.

Pausa caffè.
Saluto i colleghi.
Indosso un abito da sposa, e tu? Da piccolo odiavo le bolle di sapone, e tu? Il ricordo del suo tocco umido e caldo non mi dà tregua, e tu?
Fumo due sigarette.
Torno alla scrivania.

Pranzo.
Ordino un dolce, il tuo preferito.
Fumo una sigaretta.
Chiudo gli occhi, ma per quanto?
Mi addormento.

Sogno occhi vuoti
e parole vane,
va’ via da me.
Sogno una terra sterile,
il tuo grembo non è più

rifugio.
Sogno le tue ultime frasi.
Hai ragione, non conosco la differenza
tra desiderio e necessità.
Chiudo gli occhi.
È tutto finito.
La porta che sbatte e io che ti attendo.
La porta che sbatte e io
che attendo
i minuti
attendendo
i minuti.

Mi sveglio.
Fisso sette volte il vuoto. Ho da terminare il lavoro.
Un tagliacarte, troppo vicino.
Un tagliacarte, fa un po’ male.
Il sangue macchia il tuo abito da sposa.
Apro le vene, e tu non sei lì.
Nascosta in un sangue che prima era tuo.

Mi accascio sui fogli.
Ho occhi vitrei.
Ho sangue caldo.
E ricordi sbiaditi.

Fine del turno.

 

Giuseppe De Filippis

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Giuseppe De Filippis
Studente di scienze politiche, vive a Napoli. L’attualità è l’amorevole moglie che lo fa sentire al sicuro, la letteratura la sua amante capricciosa. Inesorabilmente devoto alla poesia e all’orrido non necessariamente in quest’ordine. Ha un dattiloscritto nel cassetto. Ha da poco capito che il cassetto è se stesso.