Facebook vs "fake news"
Società

Facebook vs “fake news”: il coronavirus determinerà la svolta?

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Nelle prossime settimane Facebook invierà una notifica a tutti gli utenti che interagiranno con notizie non veritiere sul Covid-19, per evitare il dilagare dell’informazione non qualificata sull’epidemia in corso. Gli avvisi rimanderanno, inoltre, al sito dell’OMS al fine di reindirizzare in sedi sicure e autorevoli l’utenza alla ricerca di news e risposte.

Così ha dichiarato lo scorso 16 aprile, a mezzo di un post Facebook,  Mark Zuckerberg.

Le ragioni

Alla base di una tale scelta sembra esserci l’imminenza dei danni fisici, dato lo stato di dichiarata pandemia globale, potenzialmente causati da informazioni fuorvianti in circolo sul social network; tali contenuti verranno bollati come falsi ed eliminati.

A stabilire il confine tra il vero e il falso sono attualmente poste 60 organizzazioni indipendenti (cc.dd. fact-checkers) che si occupano di esaminare contenuti in oltre 50 lingue, sempre a detta dello stesso CEO di Facebook.

Un problema serio…

Oggi le fake news rappresentano una criticità acclarata del mondo dell’informazione nelle società democratiche.  La pandemia ha ulteriormente evidenziato la loro pericolosità, nemiche come sono di Scienza e Istituzioni, se abilmente manovrate.

In tutte le parti del mondo, i governi stanno condannando questo tipo di comportamenti. In Italia hanno di recente conosciuto la massima popolarità dal momento che addirittura il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, ne ha fatto menzione in diretta nazionale durante l’ultima conferenza stampa.

 …ma datato

In verità, però, quella delle fake news e della loro strumentalizzazione a fini illeciti non è una problematica propriamente recente.

Già dai primi anni del decennio scorso, gli addetti ai lavori avevano notato e, in alcuni casi denunciato, come l’immissione di notizie farlocche nei social fosse in grado di ledere diritti, smuovere  facili consensi e disinformare intere masse con sforzi modesti.

Lo scandalo

L’exploit si ebbe nel 2018 con il c.d. scandalo Facebook-Cambridge Analytica.

La società di consulenza britannica, allora, grazie a data mining Big Data analysis riuscì a individuare con estrema esattezza l’umore degli utenti circa la  situazione politica di interi stati. Così poté fornire agli addetti di comunicazione delle campagne elettorali di Trump Brexit (tra gli altri) messaggi molto precisi ed efficaci, praticamente a colpo sicuro, da propinare ai bacini elettorali.

Gran parte dei dati analizzati altro non erano che reactions degli users a bufale clamorose.

In definitiva, i dati degli elettori presenti sul social (che non sono pochi) suggerivano quali slogan fossero incisivi ed opportuni, e quali no. Motivetti ai quali gli stessi, ignari, elettori magari esultavano ai vari comizi. Derubati e felici.

Risultato: consensi gonfiati e democrazia falsata.

E Facebook?

Facebook è il social che, dal suo avvento, più si presta alla diffusione di notizie mendaci, e questo è un dato di fatto.

Allora, però, venne naturale chiedersi come avesse potuto Cambridge Analytica venire in possesso di tutti quei dati, di proprietà di Facebook Inc.

Tutti noi ricordiamo le immagini, datate 10 aprile 2018, di un Mark Zuckerberg in balbettante imbarazzo, quando i fatti lo costrinsero ad accettare di testimoniare davanti allo United States Congress. In quella sede egli sostenne trattarsi di una fuga di dati: una falla nella sicurezza aveva permesso la fuoriuscita delle informazioni.

I senatori, inoltre, chiesero come potesse aver permesso il CEO di Facebook una circolazione di notizie false incontrollata e quali le motivazioni alla base del non effettuare fact-checking sugli annunci dei politici, nemmeno quando evidentemente menzogneri.

Zuckerberg si addossò ogni responsabilità per quanto accaduto, in quanto amministratore delegato e presidente della società; d’altronde fu proprio lui qualche anno prima ad affermare l’era della privacy è finita”. Ammise di aver commesso degli errori e si impegnò a una più rigida politica sulla riservatezza degli utenti.

Un risvolto positivo

La notizia circa la verifica dell’attendibilità dei contenuti in circolo sul social network, dunque, non può che essere figlia del ritrovato amore tra il buon Mark e la sicurezza dei fruitori del suo servizio.

Un risultato, pur se dettato dall’emergenza, certamente positivo, che in tanti auspicavano da tempo, in grado di dare fiducia a utenti e investitori.

L’altra faccia della medaglia

Sorge spontaneo chiedersi, tuttavia, se si tratterà di una risoluzione transitoria, che decadrà con il cessare dello stato di emergenza, oppure se Facebook deciderà di mantenere questa scelta come nuova politica, data la centralità che sta assumendo l’argomento fake news.

In questo secondo caso sarebbe legittimo aspettarsi maggiori garanzie circa questi organizzazioni di fact-checking cui Facebook si affida.

Il potere di dirimere l’annosa questione tra il vero e il falso, seppur ridimensionato, ha natura controversa. La facoltà di censura, se malamente adoperata, mette a rischio la libertà di espressione.

Se questi famosi “facts” venissero parametrati più al socialmente accettato che alla scienza vera e propria o alle fonti ufficiali (pur volendo escludere la cattiva fede), la democrazia degraderebbe a dittatura della maggioranza.

E che problema c’è?

Facebook, si sa, è una piattaforma privata con la quale si sottoscrive un vero e proprio contratto. Si può sempre evitarne l’utilizzo, potrebbero obiettare in tanti.

Tuttavia la soluzione non è così immediata.

È innegabile che, ad oggi, i social rappresentino il principale mezzo di propaganda politica, pur non essendo questa la loro principale funzione. Irrinunciabili per le organizzazioni partitiche che abbiano intenzione di partecipare a competizioni elettorali e per i cittadini che vogliano prendere parte al dibattito politico. Questo è un dato di fatto.

Inoltre, la compagnia Facebook Inc. possiede quantità di dati mastodontiche, in grado di far concorrenza alle sfere di cristallo dei romanzi fantasy. È già accaduto che il loro cattivo utilizzo o la loro scarsa protezione abbiano leso i diritti di utenti (ma non solo) e interferito con affari pubblici, fino a falsare elezioni.

E anche questo è un dato di fatto.

Enzo Panizio

 

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