Stefano Cucchi
Politica

Stefano Cucchi: giustizia è fatta. Cosa dovrebbe fare adesso la politica?

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La verità finalmente è sancita. Adesso è venuto il momento del legislatore che dovrebbe mostrare di avere imparato qualcosa

Giustizia è stata fatta. Lo possiamo finalmente dire. Anzi: sull’omicidio di Stefano Cucchi giustizia è stata fatta una seconda volta. La corte d’Assise d’appello di Roma ha infatti rivisto a rialzo le pene per i due carabinieri che hanno causato la morte di Stefano. Per Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro la pena sale da 12 a 13 anni per omicidio preterintenzionale.
Anche per il Maresciallo Mandolini la reclusione aumenta da 3 anni e mezzo a 4 per falso. Infine confermata anche la condanna, sempre per falso, a 2 anni e mezzo per Francesco Tedesco.

Sul piano giudiziario è una vittoria che arriva dopo dodici anni di battaglie, di depistaggi e tentativi di allontanare sempre di più il momento della verità. Un tempo infinito nel quale Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, e l’avvocato Fabio Anselmo hanno combattuto contro un gigante per giungere a una giustizia per tutti. Questa sentenza dunque è un risultato per ogni singolo cittadino: il grave errore commesso da uomini in divisa è stato punito fissando un principio indelebile nella storia del Paese.

Come tutti i principi però hanno bisogno di gambe su cui camminare. Chi può e deve costruirle è la politica, ovvero chi si occupa del benessere della comunità.
Il caso di Stefano Cucchi non è solo un caso giudiziario: non lo è mai stato. È uno squarcio in ognuno di noi che ha fatto emergere vere e proprie storture sistemiche. Sì, la responsabilità penale è individuale ma, tutte le dinamiche perverse che le indagini hanno evidenziato in questi anni sono questioni collettive a cui la politica non può non guardare.

Dalla morte di Stefano Cucchi chi governa il Paese, chi ne fa le leggi, deve trarre un imperativo categorico chiaro: a nessun essere umano dovrà accadere quanto successo a Stefano.
Già se qualcuno si degnasse di dichiararlo di fronte a un microfono potremmo dirci rassicurati. Poi ci sarebbero delle leve su cui agire per poter lavorare sulla prevenzione.

Alcune proposte sono addirittura ingiallite: ad esempio si potrebbe iniziare introducendo il codice identificativo visibile per le forze dell’ordine. Si potrebbe poi passare a rendere controllati i luoghi in cui la legge dovrebbe regnare sovrana. Ma non solo: bisognerebbe costruire i presupposti perché l’omertà non esista; perché lo spirito di corpo cessi di dominare laddove si verificano irregolarità. Per concludere poi: non dovrebbe sfuggire come debba essere rivista la legge che introduce il reato di tortura considerata, da diversi tecnici, difficilmente applicabile. Tutto questo deve interessare la politica, non per colpire chi lavora nelle forze dell’ordine come qualcuno vorrebbe fare intendere, ma anzi per evitare che prevalga lo stereotipo. 

Il caso Cucchi non può non provocare cambiamenti. Deve per forza innescare intense riflessioni in chi oggi ha il potere legislativo perché altrimenti significherebbe non fare nulla per eliminare la violazione dei diritti umani.

Federico Feliziani

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Federico Feliziani
Autore e scrittore di prosa e poesie, blogger e consigliere comunale a Sasso Marconi, è da circa un decennio politicamente attivo e dedito alla causa contro le violazioni dei diritti umani. Considera la propria disabilità un’amica e compagna di vita con cui crescere e mantenere un dialogo costante.