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Società

Giornata Internazionale per il Diritto alla Verità: rischi, martiri e ingiustizie

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Mi chiamo Anna Stepanovna Politkovskaja. Sono stata assassinata il 7 ottobre 2006. Perché? Perché cercavo la verità.
Mi chiamo Ilaria Alpi. Sono stata assassinata il 20 marzo 1994. Perché? Perché cercavo la verità.
Mi chiamo Peppino Impastato. Sono stato assassinato il 9 maggio 1978. Perché? Perché cercavo la verità.
Mi chiamo Giulio Regeni. Sono stato assassinato il 3 febbraio 2016. Perché? Perché cercavo la verità.
Mi chiamo Patrick Zaki. Non sono ancora stato assassinato. Ma se non fate nulla, presto toccherà anche a me.

Siamo martiri della verità, ammazzati perché pretendiamo un mondo migliore: per tutti, anche per te. Non potevamo chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie. E se è vero che l’unica cosa che cercavamo era la verità, siamo sicuri che se tutto rimane com’è non la otterremo mai.

Giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime

Oggi celebriamo il diritto alla verità ma non solo. Celebriamo coloro che hanno combattuto con le unghie e con i denti in nome dei diritti umani. Coloro, troppi, che sono morti per questo.
Oscar Arnulfo Romero è uno di loro. Arcivescovo di El Salvador, denunciò le violenze e gli abusi sul popolo di El Salvador da parte della dittatura militare. E siccome le sue omelie iniziarono a risultare scomode ai potenti del paese, questi decisero di mandare un messaggio forte e chiaro. Lo ammazzarono il 24 marzo 1980 mentre celebrava la messa. Cosa c’è di giusto in questo? Perché qualcuno deve morire per aver detto la verità?

L’ONU ci ricorda ogni anno, in occasione dell’anniversario della morte di Romero, di non dimenticare queste persone e di riflettere sull’importanza della verità, i diritti umani e la giustizia.

La giustizia è veramente giusta?

Vogliamo convincerci che sia così, vogliamo credere che il lavoro compiuto dalla giustizia sia degno di tale nome. Eppure non sempre succede. Molte volte la giustizia inciampa, finge di non vedere, porge l’altra guancia. Ma perché lo fa? Perché molte volte la verità è troppo scomoda per essere rivelata. E allora viene coperta, seppellita sotto a uno spesso strato di bugie.

Dove si può dunque ritrovare la luce in quel tunnel di coperture, violenze, soprusi? La risposta sta nel giornalismo. Esso può e deve rischiarare la via, ridare alla giustizia il suo vero significato.

Socrate diceva che la giustizia esiste e le azioni ingiuste sono frutto dell’ignoranza. Se è veramente così allora il giornalismo e la ricerca della verità, elementi che devono ambire ad essere complementari, devono nascere dalla necessità di conoscere, di risolvere le contraddizioni. Tutti coloro che abbiamo citato prima avevano questa necessità chiara in mente, ma il problema è che furono, e sono tutt’oggi, una minoranza. Il giornalismo talvolta finisce per farsi offuscare, così come la giustizia, e piuttosto che proiettarsi in direzione della verità si proietta verso il profitto, alimentando così la disinformazione.

Ricordiamoci sempre che chi ha una voce deve usarla anche per coloro che non ne hanno una. Chi ha una voce deve esporsi, non può tirarsi indietro, perché sarebbe come tradire se stesso e gli altri. E se tu pensi di avere una voce, usala, perché anche il più piccolo gesto conta nella lotta contro le ingiustizie.

Chiara Cogliati
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Chiara Cogliati
Da un anno vive a Venezia dove studia, ogni tanto si rintana leggendo e ogni tanto pensando, anzi spesso, serve per fare tutto il resto. Le piace ascoltare, le riesce meglio che parlare, ma per fortuna sa anche scrivere, un pochino, e allora quello che vorrebbe dire a parole lo scrive, così si diverte.