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Società

Caro senatore, Cara senatrice: lettera all’indomani della morte del Ddl Zan

Tempo di lettura: 3 minuti

Caro Senatore, Cara Senatrice 
Ieri vi guardavo. Sullo schermo del mio cellulare, in una biblioteca di Milano, vi vedevo mentre applaudivate e vi abbracciavate. 
Il Ddl Zan è morto, è stato affossato. Ieri per mano vostra l’Italia ha perso l’occasione di garantire fondamentali tutele alle minoranze. E voi applaudivate, come se non foste lì, in senato, a scegliere per la vita di persone reali che, come tutti, non chiedevano altro che essere tutelate.

Ieri vi guardavo e per un attimo ho voluto negare a me stessa la realtà. Non sono solita a farlo, eppure ieri ne avevo bisogno. Per un attimo ho voluto chiudere gli occhi e tappare le orecchie a quella parte di me che a sedici anni credeva ancora che la cattiveria non potesse appartenere agli esseri umani. A sedici anni ero una bambina, un’ingenua, e i bambini non hanno paura degli esseri umani ma dei mostri. Pensano che solo a loro appartenga la crudeltà.  

Ieri mentre vi vedevo applaudire ho capito però che non è così. Ho capito che la “banalità del male” si trova anche in un abbraccio. Lo stesso che i senatori della Lega si sono scambiati quando hanno saputo la notizia. Abbracciarsi perché finalmente si è riusciti a calpestare i più basilari diritti umani. Abbracciarsi sulla carne ferita, martoriata e disprezzata di altri esseri umani la cui unica colpa è quella di provare ad esistere e resistere in un paese che li massacra quotidianamente.  

Faccio fatica a rielaborale tutto quest’odio e disprezzo per il prossimo e forse neppure vorrei farlo.  Per questo, almeno adesso che sto scrivendo, anche davanti all’evidenzia, voglio continuare ad illudermi che siate ciechi piuttosto che accettare la realtà. Nello spazio di queste parole continuerò a far finta di credere che voi in realtà non lo abbiate realmente capito per cosa stavate festeggiando. Farò finta di dovervi aprire gli occhi 

Oggi in senato voi avete applaudito ad un “transformer” sussurrato e urlato all’interno del reparto di chirurgia dell’Ospedale Manzoni nei confronti di un infermiere: Stefano.  La sua colpa? Essere omosessuale. Sull’armadietto gli scrivono “Frocio di merda”, gli impediscono di entrare in bagno e nello spogliatoio. A dicembre del 2017 Stefano si getta nel vuoto. Muore sul colpo. 
Ora potete continuare ad applaudire. Festeggiate pure. 
 

Avete gioito per le parole di Alessia che parlando della sua vita l’ha paragonata ad una “morte lenta, un rogo senza fine”. Alessia è stata costretta a prostituirsi. In quanto donna trans, questa è l’unica possibilità che la società le ha concesso nonostante la sua laurea in scienze sociali. Lo stigma, il pregiudizio e l’ignoranza l’hanno condannata e le hanno rovinato la vita. Per la società italiana Alessia non meritava l’altro. 
Le avete schiacciato il presente e rubato il futuro ma, in fondo, a voi che importa?
 

Voi che dopo essere usciti da quell’aula in cui il Ddl Zan è morto, siete tornati a casa. Lì magari avete anche dato un bacio alla persona di cui siete innamorati, senza la paura. Quella paura di essere derisi e picchiati solo per aver amato e che conoscono fin troppo bene Martina e Erika. Una coppia investita dall’odio online nell’estate del 2019 solo per aver avuto “l’ardire” di pubblicare una foto in cui si scambiava un semplice bacio a stampo.
Minacce di morte, insulti e continue denigrazioni per loro, la cui unica colpa era quella di amarsi in un paese dove il 62% delle persone appartenenti alla comunità LGBTQIA+ ha paura di tenere per mano il proprio compagno. 
 

A questo avete brindato ieri in senato mentre nelle scuole italiane gli studenti subiscono, quotidianamente, bullismo omofobico. Infatti, mentre voi eravate impegnati a difendere i bambini dal Ddl Zan, a Salve, in provincia di Lecce, Marco iniziava a mostrare i primi sintomi psicosomatici dovuti al continuo bullismo da parte dei compagni. La causa? Una sua presunta omosessualità.
Ma in fondo per voi la vita di Marco non è così importante.  

Così come non è importante la vita di 1.066 persone che dal 2008 ad oggi sono state vittima di omobitransfobia. Una scia di dolore di cui oggi in senato vi siete lavati le mani. Come dei moderni Pilato avete deciso che potete non ritenervi responsabili di questo sangue.  

E potrei anche continuare a far finta che non ve ne siate resi conto. Potrei proseguire nel fingere che sia necessario aprivi gli occhi, quando, in realtà, i vostri occhi sono spalancati e sputano odio. Ma questa finzione è durata il tempo di questa “lettera” che non leggerete mai.
 

Ieri, caro Senatore, cara Senatrice, avete affossato il Ddl Zan. La responsabilità è totalmente vostra. Dover guardare in faccia la vostra cattiveria senza nascondersi; senza tapparsi le orecchie, gli occhi e il cuore non è facile, ma dobbiamo farlo. 
Perché se voi siete stati responsabili di questo fallimento, noi dovremo esserlo del cambiamento che darà alle generazioni future un mondo migliore.  

Miriam Ballerini
Nota dell’autrice:

Tutti i casi riportati nell’articolo sono realmente accaduti. La fonte è direttamente consultabile grazie ai link inseriti. La storia di Stefano è stata, invece, riportata dal giornalista Simone Alliva nel suo libro “Caccia all’omo, Viaggio nel paese dell’omofobia” (2020, Fandago edizioni)

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