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Società

Donne e mobbing: quando la maternità diventa una colpa

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La parola mobbing proviene dall’inglese, più precisamente dal verbo to mob (assaltare, ndr) e ciò è significativo. Con tale termine difatti si intendono gli abusi, gli attacchi ed appunto “gli assalti” da parte di un gruppo a danno di un singolo. È un fenomeno che in natura riguarda gli uccelli quando si devono difendere da un predatore. È un fenomeno che, nella nostra società “civilizzata”, avviene di frequente in ambito lavorativo per “difendere” il guadagno da quei lavoratori che non si ritengono più produttivi. Lavoratori che vengono vessati e isolati affinché si dimettano per essere poi lasciati in mezzo alla strada senza prospettive.
Così il mondo del lavoro troppo spesso diventa uno scenario degno dei romanzi di Dickens, dove, senza bisogno di tornare all’epoca Vittoriana, la logica del guadagno prevale sulla dignità del lavoratore e soprattutto delle lavoratrici.

Donne e mobbing

Sono infatti le donne ad essere più colpite dal fenomeno, come la cronaca ci ha recentemente ricordato. È appunto di pochi giorni fa la notizia, riportata dal Corriere della sera, di una donna che nella “civilissima” Milano ha subito mobbing dopo la nascita del secondo figlio. Siccome la maternità non la rendeva più produttiva come prima, l’azienda ha deciso di “incentivarne” le dimissioni attraverso minacce e continue vessazioni.
Così, la nascita di un bambino da sogno si trasforma in incubo e ciò avviene a quattro donne su dieci secondo i dati forniti dall’Osservatorio Nazionale Mobbing. Per queste donne la maternità diventa una colpa e spesso, purtroppo, la loro ultima scelta è di darla vinta all’azienda, andandosene senza sporgere denuncia. Questo avviene perché le lavoratrici, stremate psicologicamente, scelgono di non condurre un iter giudiziario, o meglio una guerra legale, dove sarebbero lasciate praticamente sole e con poche speranze.
Infatti, se scelgono di sporgere denuncia le donne vittime di mobbing devono essere in grado di portare delle testimonianze che avvalorino quanto hanno dichiarato. In pratica per ottenere giustizia devono essere in grado di trovare da sole qualcuno disposto a dire la verità. Ciò per molte di loro, però,è un’utopia.

Italia: un quadro preoccupante

Circondate dal muro dell’omertà e della paura dei loro colleghi, spesso complici e primi aguzzini, difficilmente riescono ad ottenere il supporto necessario; giunte a quel punto, non trovano altra scelta che arrendersi, nel tentativo di preservare, almeno in parte, la loro serenità. Tutto ciò avviene oggi in Italia.
Italia che, in questo quadro, appare quindi non ancora in grado di assicurare, sia dal punto di vista sociale che legislativo, la compatibilità di due diritti inalienabili: la famiglia e il lavoro e Italia che paga il prezzo di ciò in diminuzione della natalità, scesa negli ultimi anni a 485,151 nati (record negativo dal 1861) come dimostrano i dati Istat.
Davanti a tale situazione è allora necessario agire in due direzioni: legislativa e sociale.
Da una parte infatti sono necessarie leggi che tutelino maggiormente le lavoratrici che desiderano portare avanti una gravidanza, dall’altra è necessario operare affinché il mondo del lavoro si trasformi, finalmente, a misura del rispetto dei diritti umani.
Forse ciò è un’utopia, ma è necessario in un paese che si voglia definire civile, definizione che ad oggi non appartiene di certo all’Italia.

Miriam Ballerini

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